Piacenza

Marchese Malaspina: un brindisi a Bobbio, dove il vino piacentino incontra la storia

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Azienda Vitivinicola Marchese Malaspina: “La fama che la vostra casa onora,/ grida i segnori e grida la contrada,/ sì che ne sa chi non vi fu ancora;/ e io vi giuro, s’io di sopra vada,/ che vostra gente onrata non si sfregia/ del pregio de la borsa e della spada” (La fama che onora il vostro casato è decantata da popolo e signori, tanto da esser nota anche a chi da voi non è mai stato; e giuro – che io possa non arrivare su, al paradiso terrestre – che la vostra onorata gente può tuttora fregiarsi delle antiche lodi di liberalità e prodezza).

Così scriveva addirittura Dante Alighieri, il sommo poeta, ne La Divina Commedia, parlando della famiglia Malaspina. E oltre 700 anni dopo possiamo confermare che le cose stanno ancora così; certamente per l’accoglienza offerta a chi visita l’Azienda Vitivinicola con sede produttiva – non di semplice rappresentanza – nel Palazzo del XII secolo in centro a Bobbio, già Borgo più bello d’Italia, sui Colli piacentini della Val Trebbia.

Il borgo, forse perché a lungo piemontese e separato dall’Oltrepò – il Vecchio Piemonte – dal solo monte Penice, per quanto piacentino ha davvero poco di emiliano anche, ma non solo, parlando di vini: non era raro infatti imbattersi in vini Dolcetto o Nebbiolo.

Qui si deve molto, se non tutto, al monaco irlandese San Colombano, giunto da San Colombano al Lambro nel 614 per fondare un centro di vita monastica quando in riva al torrente Bobbio c’erano solo casupole e una chiesetta. Da lì i monaci oltre ad aver dato un contributo fondamentale alla crescita culturale ed economica della zona, hanno inciso sulla coltivazione della vite e sul consumo del vino (nel IX secolo il monastero produceva oltre 2.000 anfore di vino all’anno).

Il valore della storia

Avrete ben capito che la storia qui – ma io dico ovunque – ha un grande valore: d’altra parte siamo ospiti in una delle cantine più antiche d’Italia. Il marchio aziendale riporta 1772, che è l’anno in cui il “Pubblico Misuratore” Antonio Maria Losio rappresenta minuziosamente uno dei possedimenti di famiglia, il Sant’Ambrogio, con i vigneti.

A dire il vero il prezioso archivio custodito nel palazzo gentilizio (incunaboli, cinquecentine, volumi e documenti antichi, come quello a firma dell’Imperatore Federico Barbarossa del 1164) porta ben più indietro di quanto attestato dal minuzioso Cabreo: già nel 1713 – 311 anni fa –  è documentata l’attività di vendita di vino della cantina… poca cosa qualche decennio in più per una delle famiglie dal più antico lignaggio d’Europa, discendente dal principe del Sacro Romano Impero Otberto I, nato nel 945.

Sia chiaro, non parlo dell’archivio solo per vezzo: è al centro delle visite che ognuno può richiedere per scoprire l’essenza dei vini che qui si producono e acquistarli; può capitare di avere come guida d’eccezione il generoso Marchese Obizzo Malaspina, capofamiglia dalla cordialità rara, nobile di sangue e di costumi (richieste: visit@marchesemalaspina.com).

L’Azienda vitivinicola

Dal 2014 l’Azienda è condotta, avendone ricevuto grande impulso, dal figlio Currado – stesso nome del suo predecessore a cui Dante rivolge il commosso e grato omaggio.

Questa realtà, dalle antiche vestigia e dalla storia centenaria, dimostra di aver compiuto tutto il percorso che in pochi decenni – figuriamoci nei secoli – ha cambiato il mondo del vino e di guardare al futuro: da semplice alimento, il vino oggi è convivialità e piacere, e degustarlo lega inscindibilmente alla bellezza dei luoghi di produzione.

Il cortile del palazzo, che in vendemmia si popola di macchinari per la pigiatura e frenetici lavoratori, normalmente accoglie clienti e operatori: a condurre cantina è vigneti c’è Walter Monfasani coadiuvato, oltre alla collaborazione con agronomi ed enologi, da un esperto e meticoloso staff in vigna e dall’entusiasta figlio Federico, da poco entrato in Azienda anche a supporto del notevole impegno innovativo e commerciale di Currado.

Tra la vecchia macelleria e la scenografica sala con soffitto a volta – volta a botte, ça va sans dire – partono le visite alla Cantina e si organizzano degustazioni. Nella scuderia in pietra del fiume Trebbia, i profumi dei vigneti diventano vino con fermentazioni in barrique o in nuovi serbatoi termocondiozionati.

Nell’ipogeo del XII secolo il vino incontra la storia: le botti grandi e le barrique bordolesi – che “hanno già fatto numerosi passaggi, per minime cessioni al vino che deve solo beneficiare della microssidazione”, spiega Monfasani – ospitano le fasi di affinamento: nascono rossi di buona longevità che per certe etichette supera tranquillamente i 20 anni.

La produzione conta 35/40.000 bottiglie; i vigneti sono nei dintorni di Bobbio su terre del Medio Appennino, di origine magmatica, argillose, con stratificazioni calcareo-marnose, che non favoriscono la quantità ma la qualità del vino.

Uve internazionali, ma non per moda

Nei vigneti allevati con tecnica Guyot, qualche autoctono, come Ortrugo e Trebbiano, ma soprattutto Cabernet, Merlot, Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco. Scelta non per moda: negli anni ’60 il padre di Obizzo, Console italiano a Bruxelles, ha anticipato i tempi importando questi varietali internazionali.

Degustare per fare il punto

Diverse le etichette prodotte: ne cito solo qualcuna invitando a provare anche le altre.

Novità è una bollicina Pas Dosè che sarà dedicata a Costanza: salvò l’archivio in tempo di guerra. Pinot Nero e Chardonnay 2020 vinificati Metodo Classico assaggiato in anteprima a pochissimi giorni dalla sboccatura: considerando anche i tre anni sui lieviti, sarà indispensabile qualche mese per apprezzarne la vera indole ma le premesse promettono un vino degno d’attenzione.

Altro spumante è il Brut Metodo Classico: Pinot Nero con 10% di Chardonnay. Di bel giallo paglierino con riflessi vivi di miele, floreale e fragrante al naso, fine, persistente al palato invoglia la beva. Buon vino – la cui spumantizzazione avviene però in una cantina legata alla famiglia – dal rapporto qualità prezzo eccellente.

Va menzionato Otbertus, dedicato al capostipite del casato: Pinot Nero dove il contatto con le bucce, minimo, dona colore tenue e facile beva.

Bobium è figlio dei vigneti più antichi (70 anni), addirittura a piede franco: sono pochissime le vigne ad averlo sul territorio nazionale; 90% Cabernet Sauvignon e 10% Cabernet Franc vendemmiate nel 2016 offrono un vino dal profumo intenso, floreale e di piccoli frutti rossi, ancora fresco al sorso, decisamente morbido ma equilibrato: da provare con ragoût, arrosti, grigliate di bovino o formaggi saporiti.

Infine, Sant’Ambrogio: Merlot (70%) con Cabernet Sauvignon e Suyrah; vendemmia 2018 per un sorso “ruffiano”, capace cioè di assecondare il gusto dei più. Consigliato con risotto alla milanese e ossobuco o al seguito di un bel carrello dei bolliti.

Prezzi, dove e quando…

Insomma, ecco una Cantina dove forti del passato non si limitano a ricordarlo ma lavorano per portare avanti la storia con senso di responsabilità e capacità di innovare: una realtà della nostra provincia, e della nostra Italia, che vale la pena scoprire.

I prezzi? Indicativamente sono di 16 euro per gli spumanti e 12 per i rossi. Dove trovarli: per l’elenco di ristoranti e punti vendita o per acquisti diretti scrivere a: info@marchesemalaspina.com.

Presenti agli eventi:

  • 3 luglio, “Cena Blu”, benefica a favore di Amop – Travo;
  • 6 ottobre, Festa dell’Uva – Bobbio;
  • 16 – 18 novembre, Fiera dei Vini – Piacenza Expo;
  • 8 novembre, Merano WineFestival, area Sqnpi. (Sistema qualità nazionale produzione integrata).
Sante Lancerio
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