Spesso e volentieri anche a Piacenza si assiste a un’immotivata predilezione per vini tutt’altro che locali. Sia chiaro, non sono tra chi demonizza tout court il Prosecco, quel metodo Martinotti italiano, il più venduto (638,5 milioni di bottiglie e ben l’81,2% all’estero nel 2022), né sono un campanilista spinto. Il tema però è caldo: il territorio piacentino merita a pieno titolo più considerazione da parte del consumatore, ma anche una politica vitivinicola di territorio, che pur il Consorzio Tutela Vini Doc Colli Piacentini sta cercando di promuovere, a difesa delle aziende di oggi e anche della storia millenaria dei suoi vini.
Le eccellenze ci sono eccome, basti guardare alcune delle Guide più autorevoli fresche di stampa. Vini d’Italia del Gambero Rosso, tra i diversi piacentini recensiti, attribuisce l’ambitissimo riconoscimento massimo dei tre bicchieri a “Il Pigro Dosaggio Zero” 2020, ottimo Metodo Classico delle Cantine Romagnoli; mentre la guida Vitae dell’Associazione italiana sommelier porta alla vetta delle “quattro viti” (oltre 91 punti su 100) ben 10 vini di 7 nostre cantine.
I vini di Piacenza nella Storia
Sono eccellenze figlie del grande lavoro, relativamente recente, della vitivinicoltura piacentina, potendo però contare sulla lunghissima storia che incorona il nostro territorio come primogenito da moltissimi punti di vista. Nei territori Veleiati le viti giungono nel X – V Secolo avanti Cristo, mentre addirittura Cicerone, in un orazione in Senato indirizzata al suocero di Giulio Cesare, cita il “vino piacentino”, dimostrando già in quel 55 a.C. come la nostra viticoltura era realtà nota e consolidata.
Vini, parlando nello specifico di quelli di “Castell’Arquato”, cioè dell’alta Val d’Arda e Val Chiavenna, che nella prima Guida della storia, la cinquecentesca I vini d’Italia giudicati da Papa Paolo III, sono definiti “Vini perfettissimi”. Insomma, se le Langhe con il Barolo vantano “vini dei Re” noi, correndo il rischio – e non solo in senso religioso – di essere considerati blasfemi, possiamo fregiarci di avere quelli dei Papi.
La Storia millenaria della viticoltura vede protagonista la produzione piacentina anche in tempi più recenti, dopo che a fine ‘800 l’iniziativa imprenditoriale di Filippo Zerioli ha dato impulso a un’attività di esportazione straordinaria di uve da tavola sui mercati europei; tanto che l’export nazionale proveniva dalla piccola Piacenza per la sostanziosa quota del 15%. Va ricordato anche che nasce proprio a Piacenza, nel 1932, la “Fiera Nazionale delle Uve da Tavola”.
Arriva il Gutturnio
Questo “elogio” però non nasce per gli augusti natali della viticoltura piacentina, ma per un lavoro che è rifiorito nel tempo fino a trovare nuovo slancio negli ultimi trent’anni, sapendo innovare senza timore di emanciparsi dalla tradizione, confrontandosi anche con la sfida dei profondi cambiamenti climatici.
Passaggio essenziale è stata l’adesione ai disciplinari delle Denominazioni, con la Denominazione di origine controllata Gutturnio, tra le prime d’Italia, ottenuta nel 1967. Si tratta di un vino il cui nome è ispirato, dal 1939, alla coppa argentea – il Gutturnium – d’epoca romana rinvenuta nel fiume Po e oggi riprodotta a Palazzo Farnese. Il Gutturnio promette ancora molto bene, tanto da poter essere a pieno titolo un’ottima bandiera per il territorio, ottenuto da un assemblaggio sapiente di uve Barbera e Bonarda (Croatina, a Piacenza).
Altri grandi protagonisti
Quello piacentino è un territorio che vede nella sua poliedricità un notevole elemento di pregio. Determinante per la produzione di un vino è infatti l’ambiente pedoclimatico sul quale da noi, prima ancora della mano dell’uomo, hanno ben lavorato le ere geologiche. Si va infatti dalle argille della Valtidone, confine e prosecuzione naturale del “Vecchio Piemonte”, l’Oltrepò Pavese, fino ad arrivare ai suoli giovani del Piacenziano, nella parte orientale della provincia; in mezzo ancora altre composizioni che caratterizzando le zone vitivinicole trasversalmente alle vallate e conferiscono note uniche ai vini che ne nascono.
Poliedricità che ci regala anche bianchi interessanti come la Malvasia di Candia Aromatica – capace di offrire vini longevi oltre che interessantissimi passiti – e l’Ortrugo – rinato grazie a Luigi Mossi e pochi altri, arrivando alla Doc nel 1984. Un bianco, quest’ultimo, che consiglio senza esitazione anche per un buono Spritz piacentino, surclassando il solito Prosecco.
Insomma, i motivi per scegliere fin da subito, nelle carte dei vini di un ristorante o sugli scaffali di un negozio, una bottiglia made in Piacenza sono numerosissimi: proviamole per godere di quella “gioia” indicata dal grande Veronelli come il regalo fondamentale che deve saperci fare un buon vino.