Piacenza

Al “Castellaccio”: tra i Colli Piacentini c’è un pezzo di storia che fa star bene a tavola

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Compierebbe 100 anni il fondatore del “Ristorante Castellaccio”, un riferimento dello star bene a tavola. Lui, Attendolo Solari, figlio di un commerciante di Bacedasco, nel 1947 apre la Trattoria dell’Angelo e poi la Locanda al Castello nel borgo medievale di Vigoleno. Ma la storia che vi racconto oggi è quella che lo porta fino in Val Trebbia, dove nel lontano 1969 apre il suo tempio culinario e d’ispirazione artistica nel contempo, siccome lì si dedicherà anche alla pittura (alcune sue tele sono nelle sale del locale).

Attendolo, il cui nome figura ancora, opportunamente, sul piattino di benvenuto che accoglie i commensali con due fette di salame piacentino che inebria con la “mitica” goccia, è sicuramente stato la carta vincente del locale per molti decenni. Un testimone, il suo, egregiamente preso dal figlio Graziano che ha condotto con rinnovato slancio il locale tra i riferimenti della miglior cucina del territorio.

Da avamposto militare a presidio enogastronomico

Il nome del ristorante si rifà all’edificio che rappresentava l’avamposto del castello di Statto, recuperato per diventare una meta sicura non solo di piacentini buongustai ma anche di numerosi turisti attratti dalla Val Trebbia: ci troviamo in località Marchesi di Travo, nel Comune di Rivergaro.

Tratto caratteristico è l’atmosfera di serenità; quello star bene che si cerca per trascorrere qualche ora piacevole e appagante, quando il cibo è un pretesto, ma dev’essere gustoso pretesto! A crearla è Graziano, con la sua naturale vocazione alla simpatia e all’ottimismo. La sala è costituita da una veranda arredata in modo semplice, sobrio e gradevole, dalle ampie vetrate che guardano sul verde circostante e che d’estate si spalancano, dando la sensazione di trovarsi in mezzo a questo contesto bucolico. E qui, al vero anfitrione del locale si affiancano le figlie, Chiara e Camilla.

La famiglia Solari (foto dal profilo Facebook)

“Sono il mio orgoglio”, mi dice Graziano, dando voce allo spirito paterno che vede la prosecuzione di una storia giunta, con entusiasmo, alla terza generazione. Con loro, anche validissime collaboratrici e poi Pinuccia, la moglie, che completa il quadro di una gestione prevalentemente familiare.

Ad aggiungere un tocco di intimità alla vasta sala c’è poi un gradevolissimo angolo, dove poltrone e camino offrono relax prima e dopo il convivio. Bello il giardino, con le erbe aromatiche protagoniste della cucina e, nel periodo estivo, con alcuni tavoli.

Da ristorante dei grandi eventi e cerimonie il Castellaccio è diventato via via un locale più intimo e familiare, mantenendo intatta la mission gastronomica della sala che valorizza la cucina; qui il perno è Angela Repetti, chef fantasiosa ma concreta: una garanzia! “La nostra grande forza, che consideriamo ormai di famiglia”, dice a ragione Graziano; assieme a lei, giovani collaboratori che danno un importante supporto.

(foto dal sito del Ristorante Castellaccio)
Gli antipasti

L’eloquente sintesi di tutto questo la ritroviamo sedendoci a tavola; leggere il menu è un’epifania: sapientemente bilanciato fra i piatti della tradizione e nuove proposte, senza escludere piatti di pesce… rende difficile limitare la scelta.

Il piattino di benvenuto Dop induce a proseguire con profumati salumi, rigorosamente stagionati nelle cantine dell’antico avamposto, con giardiniera croccante ed equilibrata nei sapori.

Ho optato per Roast beef di petto d’anatra, rosti di patate e maionese al pomodoro: anatra sublime valorizzata della preparazione che la rende succulenta il giusto; la patata così preparata, unita al resto, non mi ha convinto del tutto, comunque ottimo piatto. Buono anche il Baccalà mantecato e chips di polenta – delicatissimo – con quella nota conferita da agretti aglio olio & peperoncino che lo valorizza.

Assieme decido di abbinare Il Montino, Colli Tortonesi Docg de La Colombera: Timorasso, un bianco piemontese riscoperto solo recentemente grazie a Walter Massa che provò a ripiantarlo. Bottiglia di buona freschezza e mineralità, oltre che di notevole corpo; caratteristiche queste che lo rendono adeguato al baccalà. Il corpo gli permette di affrontare anche il mio petto d’anatra.

Minestre e paste

Il Castellaccio è il regno di paste rigorosamente fatte in casa e piatti più che storici: il riso servito nella forma di Grana Bio con rosmarino e scalogna accompagna il menù praticamente da 77 anni… un motivo ci sarà!

Scelgo una pasta ripiena: Ravioli verdi di anatra al profumo di arancia. Da gustare anche gli Gnocchi di rapa rossa ripieni di caprino, fonduta di erborinato e zucchine: di grande sapidità ma nel contempo di delicatezza assoluta.

Se risotto e gnocchi vanno bene per terminare il Timorasso, avevo fatto stappare con opportuno anticipo un rosso per traghettarmi dai ravioli d’anatra al mio secondo di succulenta carne: un opulento Barolo Docg, il Capalot 2017 di Crissante. Comune di La Morra, si apre nel bicchiere con un naso di grande eleganza che nell’assaggio fa risaltare sentori mentolati e di piccoli frutti rossi freschi. Di freschezza sorprendente e buon corpo, con un tannino molto presente e aggraziato.

Carni e pesci

Solo con queste ci farei l’intero pranzo… Caposaldi del menù sono le Lumache alla Bourguignonne e Frittura di rane dalla saporita croccantezza.

Pur attiratissimo dal Coniglio lardellato ripieno di prugne, catalogna, salsa al rabarbaro, opto per la tagliata di scamone piemontese con fonduta di Malghese (mi trattengo dal provarli entrambi: voglio arrivare ai formaggi… capirete il perché): mise en place semplice ma sapori encomiabili, così come la perfetta cottura.

Il trionfo dei formaggi

Dimenticatevi la frase “posso avere due scaglie di Grana?”; qui sarebbe un delitto non approfittare di un carrello dei formaggi epico, figlio di incessante ricerca alla quale Graziano si dedica ormai dagli anni ’80, esplorando su e giù l’Italia.

Un mix di provenienze impreziosito dall’accompagnamento di pane caldo ai frutti secchi e mostarde. Parliamo, solo per citarne qualcuno, di formaggi di piccoli produttori, stagionati di montagna, di malga, erborinati… Adesso svetta un Bettelmatt della Val Formazza (solo 2 malghe su 7 possono produrlo) ma anche un Blu di capra con petali di rose e frutti di bosco e i Pecorini sardi “dell’amico Agostino”: che fortuna avere amici così! Memorabile un Blu con arancia di sicilia zafferano e mandorle. Una tavolozza con una decina di abbondanti assaggi a 30 euro: nulla!

Mi sono fatto consigliare una bottiglia di ‘BarbErone’ Nò Mongovone, Barbera d’Asti che essendo realizzato con uve in parte surmature può anche starci con certi formaggi. L’azienda è Elio Perrone, che realizza 180 bottiglie per il Castellaccio.

Per chiudere in dolcezza…

Diverse proposte per i dessert (tutti a 8 euro). Nota di merito per la cantina, sicuramente tra le più solide e variegate del Piacentino, dove lo sguardo al territorio è attento, ma anche ricco di tante proposte nazionali e internazionali, rappresentando il gusto del padrone di casa.

Il conto, accessibile, è in linea col livello del locale: se togliamo i vini, su cui avrete capito non indugio troppo, una cena con antipasto, primo, secondo viaggia sui 50/60 euro.

Insomma, al Castellaccio garanzia di ottima cucina ma soprattutto di accoglienza attenta, sobria e sorridente, in una parola familiare. Graziano e le sue brigate di cucina e sala non tradiscono lo star bene a tavola!

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