Papa Francesco: niente udienza per Matteo Salvini e comprensione per i migranti dirottatori. Un “uno-due” non da poco, quello vaticano di ieri.
Mentre però la mancanza di feeling del Pontefice col ministro dell’Interno non sorprende, la lancia spezzata verso gli “ammutinati” della El Hiblu 1 fa scalpore. Vediamo allora distintamente di cosa si tratta.
Il no a Salvini
Le solite voci ben informate dicono che il corteggiamento di Salvini per un’udienza papale sia naufragato miseramente. I tentavi, cominciati nel settembre scorso e proseguiti dalle diplomazie informali delle due parti, si sarebbero infranti contro una presunta condizione vaticana irricevibile. Vale a dire che il titolare del Viminale cambi politica in fatto d’immigrazione.
Difficile da credere che le cose stiano esattamente in questi termini. Intendiamoci: la divergenza tra il magistero sociale di questo pontificato e la politiche migratorie e di sicurezza di Matteo Salvini è netta. Ma che, anche solo tramite abboccamenti riservati, il Papa o il Segretario di Stato Parolin abbiano ingiunto a un ministro italiano di cambiare linea non ci sembra credibile. La frustrazione del desiderio di un incontro si limita a suggerire una difformità di vedute, peraltro notoria.
Sembra invece meno peregrina l’indiscrezione che vorrebbe la Santa Sede restia all’incontro per timore della smania social del ministro Salvini. In tempi di campagna elettorale spinta (la propaganda infatti è ormai permanente), il vicepresidente del Consiglio che posta una foto col Papa potrebbe dar adito a strumentalizzazioni. Anche se si trattasse di un’udienza privata.
Non sarebbe la prima volta, peraltro, che il Papa accetterebbe un rischio simile. Ma questo, a onor del vero, non andrebbe messo in conto a Salvini, quanto piuttosto a una gestione non sempre prudente della comunicazione vaticana. E anche all’abbandono di certe formalità che, per quanto non godano di buona stampa, aiutano a gestire responsabilità delicatissime come quelle del Pontefice.
I dirottatori dell’Osservatore Romano
Discorso del tutto diverso è quello del titolo dell’Osservatore Romano del 28 marzo, al centro della prima pagina. “Dirottatori per necessità”, in capo a un breve articolo sulla vicenda della nave dirottata da 5 migranti delle 108 persone imbarcatesi in Libia. La marina maltese ha provveduto ad arrestare i responsabili del dirottamento e a sbarcare il resto del gruppo. La motivazione del gesto sarebbe stata identificata con il rifiuto dei migranti a essere ricondotti in Libia, come prevedono gli accordi internazionali.
Colpisce anzitutto il tono scelto da un organo di stampa come l’Osservatore, che fa della misura forse la sua prima divisa. E colpisce la spregiudicatezza del ricorso a un classico del sensazionalismo giornalistico. Cioè un titolo sparato, neanche minimamente ripreso dai contenuti dell’articolo.
Per venire al merito, è forse la prima volta che il quotidiano della Santa Sede giustifica quello che a tutti gli effetti è un reato comune. Né bastano, a ridimensionare l’irritualità del giudizio, i riferimenti (presenti nel pezzo) all’interruzione della missione di pattugliamento europea Sophia e alla ripresa in grande stile dei traffici degli scafisti.
L’insostenibile sì all’illegalità
La Santa Sede può evidentemente, come è del tutto connaturato alla sua funzione, spronare gli Stati a promuovere canali legali d’immigrazione. E lo fa, in effetti. Potrebbe anche, eventualmente, invocare l’ingerenza umanitaria internazionale in Libia onde impedire il traffico di esseri umani. Ma avallare la commissione di un crimine è un’opzione che disorienta, sia pure evocando un molto discutibile stato di necessità. La nave dirottata, infatti, aveva provveduto nient’altro che al soccorso in mare.
La giustificazione dell’anarchia da parte del portavoce di una delle più riconosciute autorità morali mondiali, qual è il Papa, ha effetti difficilmente controllabili. Nuoce poi innegabilmente alla storica capacità di mediazione che la più antica diplomazia del mondo esercita ovunque a servizio dell’uomo. Sono sempre i più deboli a subire le conseguenze dell’illegalità. E questo è precisamente quanto è accaduto anche ai 103 migranti, presi in ostaggio insieme ai membri dell’equipaggio della Hiblu. La circostanza non dovrebbe essere sfuggita neanche a chi scrive oltre Tevere.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.