Taglio dei parlamentari: si avvicina il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre prossimi. È una consultazione confermativa, la cui validità non soggiace a quorum di partecipazione. Deciderà il suffragio universale nel modo più semplice e democratico possibile, cioè a maggioranza dei voti espressi. Occorre, perciò, un minimo di consapevolezza della posta in gioco: è per questo che la democrazia è una cosa seria.
Referendum: due premesse
Prima di chiarire di cosa si tratta, s’impongono due premesse. La prima: sarebbe senz’altro meglio andare a votare tenendo a mente l’oggetto della consultazione. In questo senso dovrebbe agevolare l’assenza di personalizzazione, che è stata invece grandemente implicata negli ultimi due referendum costituzionali del 2006 e del 2016. Tra l’altro, quei due plebisciti (mancati) concernevano revisioni molto più estese ed articolate del dettato costituzionale.
Seconda premessa: non è lecito attendersi da un’eventuale (e probabile) vittoria del “Sì” conseguenze che essa comunque non potrà determinare. Non avrebbe senso soprattutto riguardo alla contingenza politica. Non conviene infatti dar retta a chi vaneggia di una delegittimazione del Senato e della Camera in carica in caso di approvazione del quesito. Le Camere resteranno comunque pienamente legittime.
Deputati e senatori
La novella costituzionale approvata nell’ottobre scorso muta tre articoli della Carta. Il 56 e il 57 nelle parti concernenti la composizione rispettivamente di Camera e Senato. Il 59 laddove esso dispone il numero dei senatori a vita di nomina presidenziale. Chi voterà “Sì” avallerà la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e di quello dei senatori da 315 a 200.
I senatori a vita
In più, approverà la soluzione dell’antica questione relativa a quanti possano essere i membri del Senato di nomina presidenziale: 5 in tutto e non 5 ogni capo dello Stato. Chi invece voterà “No” intenderà lasciare immutata l’attuale composizione delle Camere e decidere da ciascun presidente della Repubblica quanti possano essere i senatori da lui nominati.
Numero fissato nel 1963
Una nota storica, probabilmente sconosciuta ai più: un numero fisso dei componenti le assemblee legislative, ora previsto in diminuzione di oltre 1/3, non era stato stabilito originariamente dai costituenti del 1947. Sino all’approvazione della legge costituzionale n° 2 del 1963, deputati e senatori vennero eletti per tre legislature in numero variabile e proporzionale a quello degli abitanti.
I voti dei partiti
L’approvazione parlamentare della legge costituzionale sottomessa al prossimo referendum è stata sancita da maggioranze successive variabili. Infatti, per 3 delle 4 votazioni richieste dall’articolo 138 della Costituzione, Pd e Liberi e Uguali hanno votato contro. Soltanto in occasione dell’ultima votazione, la seconda prevista a Montecitorio, l’intera nuova maggioranza giallo-rossa ha unito i suoi voti a quelli della gran parte degli altri gruppi politici. Essendo mancata la maggioranza assoluta nella seconda votazione a palazzo Madama, il referendum confermativo potrà avere luogo.
Perché “Sì”
Passiamo ora in rassegna gli argomenti dei fronti del “Sì” e del “No”. I favorevoli alla riduzione del numero dei parlamentari si appellano in sostanza a tre ordini di motivi.
Il primo, il più noto e facile da “spendere”, è proprio quello che si riferisce ai risparmi di spesa pubblica che un numero inferiore di rappresentanti da indennizzare consentirebbe di realizzare. A questo riguardo, bisogna dar conto di una divergenza di opinioni in ordine alla quantificazione dei risparmi attesi, dovuta forse alla differenza fra calcoli al lordo ovvero al netto di imposte e contributi. Al netto, comunque, il risparmio dovrebbe essere pari a 57 milioni di euro all’anno e, così, a 285 milioni a legislatura tra Camera e Senato.
Il secondo argomento dei sostenitori della riduzione dei parlamentari è che un Parlamento meno pletorico guadagnerebbe in efficienza dell’attività legislativa. È una tesi non priva di suggestione, ma ovviamente a prevalente carattere di scommessa, giacché non possiamo averne al momento alcun riscontro. Non dimentichiamo, comunque, che l’efficienza dell’istituzione parlamentare dipende fondamentalmente dall’equilibrio del sistema costituzionale e dalla collaborazione fra i soggetti che incarnano di volta in volta i diversi organi repubblicani.
Il terzo argomento dei sostenitori del “Sì” è che una riduzione dei componenti le Camere favorirebbe un aumento della loro qualità. Della serie: meno i partiti ne potranno candidare, migliori saranno quelli che si riproporranno di far eleggere. Ma è innegabile come la qualità della classe dirigente in generale e politica in particolare dipenda largamente dalle sue modalità di reclutamento, sia in seno alle forze politiche sia in sede elettorale.
Perché “No”
I sostenitori del “No” motivano la loro contrarietà al taglio facendo riferimento alla compressione della rappresentatività del Parlamento; alla tendenza oligarchica che si rafforzerebbe in seno ai partiti e alle istituzioni; nonché all’irrilevanza di principio e pratica dei risparmi di finanza pubblica in prospettiva costituente. Quanto alla rappresentatività numerica, è innegabile che essa si ridurrebbe. Infatti, l’Italia passerebbe da un eletto ogni 63mila abitanti ad uno ogni 101mila.
Quanto, però, alla rappresentatività sostanziale e alla paventata torsione oligarchica del sistema, tornano a porsi i problemi della mancante legge-quadro sui partiti, del cantiere sempre aperto sulla legge elettorale e della riforma dei regolamenti parlamentari. E su tutte queste questioni la proposta soggetta a referendum non incide, per quanto possa impattare soprattutto nei termini di riduzione della rappresentanza di alcuni territori.
È innegabile, infine, la rilevanza del richiamo all’irriducibilità della funzione costituente ai “conti della spesa”. Teniamo però presente che l’esemplarità della condotta della classe politica è un’esigenza avvertita ovunque, non solo in Italia. E che quello che è stato il primo partito italiano alle ultime Politiche del 2018, il Movimento 5 Stelle, ha sempre fatto della questione della riduzione dei costi della politica un vessillo.
Strumentalizzazioni partitiche
Questo è, per l’essenziale, il quadro delle posizioni che si delineano nel merito referendario. Tutti sappiamo, dalla cronaca politica, che le posizioni che i partiti hanno assunto, ovvero prenderanno sull’indicazione di voto dipendono per lo più da altro.
Ecco: un aspetto positivo di una riforma costituzionale indubbiamente eccentrica nel suo limitarsi al numero dei componenti del Parlamento è che la sua strumentalizzazione nell’ambito della dialettica fra i partiti è per questo un po’ meno grave. È indubbiamente una magra consolazione, ma bisogna comunque sforzarsi di pensare in positivo.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.