Festival Verdi: “Ho ricevuto l’invito per la 23ª edizione dell’evento dedicato al grande musicista. Un programma che mi ha lasciato basito e allibito”. Ad affermarlo è Giampietro Comolli, in una nota che denuncia ancora una volta l’esclusione di Piacenza dalla manifestazione. Oggi, prosegue il manager, docente universitario e figura di primo piano nel mondo dei vini e dell’enogastronomia italiana, “basito e allibito sono due termini molto in voga, ma reali. Da un lato, il ricco e completo cartellone del Festival Verdi 2023, mirabilmente promosso e pubblicizzato in tv e radio nazionali da qualche giorno e non certo a costo zero; e dall’altro, la ‘solita’ mancanza di qualunque riferimento a Piacenza, anche indiretto”.
Le promesse
Busseto è logico che ci sia, prosegue Comolli, “forse Fidenza e Parma ci stanno per entità geografica-politica superiore, ma Reggio Emilia che ci azzecca? Non 6 di Parma, qualcuno potrebbe obiettare, giustamente, in quella logica comunicativa estemporanea e consociativa dei social. Ma, ecco il ma: mi era sembrato, anche in più occasioni pubbliche, che molti personaggi ed esponenti politici piacentini avessero non solo indicato un progetto nostro dedicato alla piacentinità verdiana; ma pure un impegno di aggregazione di intenti, programmi, visibilità delle cittadine e delle province più coinvolte nella opera ampia e diversificata del maestro Giuseppe Verdi; a cominciare da questo Festival attivo con alti e molti bassi da alcuni lustri”.
Sant’Agata e San Marco
Personalmente, aggiunge Comolli, “con tanti amici cari e associazioni cittadine, mi ero sempre attivato perché le presenze attive piacentine di Verdi trovassero dimora sia in villa Sant’Agata che nell’ex hotel San Marco; un binomio ‘fisico’ inconfondibile, unico fra una casa-itinerario museale culturale e la ‘sede di uno Stabile’ moderno e anche interattivo in città, dedicato alla vita quotidiana di ‘uno di noi’, con attenzione alla parte accademica, didattica, formativa già portata avanti dal Nicolini in forma internazionale e anche più verdiana”.
Verdi per strada
Il Festival parmense, prosegue il manager, “parte il 16 settembre e dura fino al 16 ottobre 2023; un mese ricco di serate entusiasmanti, dedicate alle più importanti opere del maestro (tutte opere pensate a Villa Verdi, a Sant’Agata di Villanova d’Arda in provincia di Piacenza, a parte il Nabucco milanese); un cartellone ricco, con dettagli e personaggi di primo piano, che coinvolge tutti gli angoli e tutti i luoghi della città di Parma, non solo i teatri. Addirittura si parte con un ‘Verdi per strada’, in bicicletta, che lascia molto stupiti… ma la comunicazione innovativa è anche quella che ‘cavalca’ le scelte attuali rispetto alla storia. E invece manca qualunque riferimento alle famose serate spettacolo dedicate a raccogliere fondi per la trasformazione della Villa Verdi di Sant’Agata da bene privato chiuso a bene pubblico aperto a tutti”.
L’evento, ricorda Comolli, “è sostenuto da gran numero di sponsor: a parte le istituzioni, con il ministero della Cultura in prima posizione che ha avuto un immediato impegno a investire milioni nella destinazione pubblica di Villa Verdi a Sant’Agata nel piacentino, quasi tutti i grandi brand industriali e utilities parmensi ci sono, ma anche Iren e Mediaset, oltre Crédit Agricole, fondazioni e associazioni commerciali”.
Forse ho capito male…
Poi Comolli torna a puntare il dito sul gotha piacentino. “Già nel 2021 e poi ancor più nel 2022, a seguito anche di alcune forte sollecitazioni popolari, diverse voci autorevoli politiche piacentine si erano spese in modo trasversale; e imprenditori si erano dichiarati favorevoli a una ‘azione condivisa’, assegnando a tutti i luoghi verdiani spazi diversi e separati, ma in un palinsesto che portasse il nome di Verdi nel mondo, con un progetto e un marchio unico. Mi sbaglio? Ho capito male? Le testate locali hanno riportato male? Addirittura mi era sembrato di capire che ‘i rapporti’ fossero già stati avviati e che le richieste ‘popolari’ fossero superate da una già avviata trattativa di collaborazione e di sviluppo con il Festival Verdi preesistente ‘senza Piacenza’, ma senza andare ad elemosinare uno spazietto con la coda fra le gambe”.
I danni per Piacenza
L’imponente campagna pubblicitaria avviata in questi giorni su testate televisive, continua il manager, “mi ha attratto perché l’investimento non è da poco; perché solo in certe modalità si arriva a colpire l’utente, il consumatore che poi si fa una chiara idea di paternità e di origine difficile da scalfire. Faccio sempre l’esempio dello scaffale di prodotti a Stoccolma in una notissima catena distributiva mondiale voluta anche a Piacenza con scritto ‘Coppa di Parma, fatta alla maniera piacentina’… ma ditta di Parma! Oppure, quando ancora oggi, alcuni telegiornali nazionali e stranieri indicano la città di Piacenza in… Lombardia! Constatazioni recentissime e non di 30 anni fa”.
E Destinazione Emilia?
Una prima domanda, scrive Comolli “è molto semplice: mi sembra che ci sia un ente emiliano preposto ‘Visit Emilia’ o ‘Destinazione Emilia’ che si è prodigata sempre a sostenere che certi eventi che coinvolgono più province e più interessi allargati sarebbero stati promossi all’unisono, insieme. Coinvolgendo tutti.
E Piacenza non deve perdere anche la personalità, la storia, l’identità e la figura di Giuseppe Verdi. Per 50 anni ha creato quasi tutte le sue opere migliori, ha fatto l’agricoltore, è stato un accattivante ospite a tavola, tutto in terra piacentina, come lui stesso ha sempre detto e scritto nelle sue lettere.
Verdi e la sua Bassa
Verdi “ha vissuto più come agricoltore piuttosto che da ‘vedette’ di palcoscenico, da direttore d’orchestra”, riflette il manager piacentino. “Persona che aveva – così traspare – un forte attaccamento alla terra, componeva guardando la sua terra. Appare banale, anche se in ritardo, sperare in una casa-museo che può raccontare – da sola – ben oltre i 50 anni di vita reale quotidiana del Maestro, raccogliendo lettere, documenti, brogliacci (anche quelli del famoso baule già finito a Parma… dicono, per sicurezza!) che rappresentano sicuramente le annotazioni più personali e vicine al pensiero del Verdi uomo, in termini di passioni, sentimenti, cultura, rapporti con contadini e persone che vivevano fra l’Ongina e l’Arda, una bassa piacentina ricca di sapori, di spazi aperti, una campagna molto produttiva”.
E Verdi, racconta Comolli, è stato anche e soprattutto “un grande produttore di latte, tutto destinato al grana padano; appassionato di riso e risotto e di latte in piedi che rientra molto nella gastronomia piacentina-lombarda; cultore della doppia cottura della carne di maiale, per sgrassarla, in voga da secoli nella terra fluviale piacentina. Piacenza, Cremona (amava il torrone), Genova (il clima mite invernale) e Milano erano le città più frequentate e citate nelle sue comunicazioni e messaggi; non certo Reggio, Fidenza, Parma, e neanche la sua Busseto, dopo i primi anni di apprendistato. La stessa cucina in Villa Sant’Agata era molto legata a Piacenza (cuoche piacentine ricercate affannosamente fra amici piacentini e no) grazie anche alla tipicità e tradizione ricevuta da genitori nati e cresciuti in famiglie piacentine”.
Si aspettano risposte
Poi il manager conclude il suo pamphlet dedicato alla XXIII edizione del Festival Verdi, sottolineando ancora una volta i suoi questi: “Giro molto volentieri queste mie domande a chi può dare risposte e assicurazioni. Quindi Piacenza ‘farà’ qualcosa di suo, autonomo, per la piacentinità vera e reale del Maestro Verdi? Quando, come e dove?”.
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