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Guerra in Ucraina: lo spettro di una nuova Jalta si aggira per l’Europa

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Guerra in Ucraina, 43° giorno. Come per un sortilegio siamo tornati indietro di 80 anni. E così, oltre ai morti civili e militari, ai profughi, alle distruzioni causate dall’invasione russa sono tornate di moda non solo a Kiev le stesse parole degli Anni 30 e 40 dell’altro secolo, dalle sanzioni alla borsa nera.

Etiopia, 1936

L’Italia fascista nel 1936 aveva invaso un Paese imbelle e pacifico, senza nessun motivo, l’Etiopia di Hailé Selassié. La Società delle Nazioni, antenata dell’Onu, aveva imposto delle sanzioni. E caso strano non aveva imposto l’unica sanzione che sarebbe stata decisiva, quella sul petrolio. Perché se avesse tagliato il petrolio all’Italia le nostre navi non avrebbero potuto neppure uscire dai porti. L’altra sanzione non applicata era stata la chiusura del canale di Suez, l’unica strada che avevamo per raggiungere l’Etiopia. E infatti non erano servite a nulla, se non a rinsaldare attorno al regime il maggior consenso degli Italiani.

Pescecani e badogliani

Oltre alle sanzioni sono sbocciate in questi 43 giorni tantissime parole che speravamo dimenticate e obsolete. Sono tornati i pescecani (leggasi lobby del petrolio) che hanno alzato i prezzi dei prodotti petroliferi senza motivi apparenti se non la loro ingordigia. Sono tornati i borsari neri e i profittatori che hanno svuotato i supermercati nei primi giorni della guerra. Sono tornate, con Bucha, le stragi di Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema. Insomma, ci mancano solo i badogliani e i repubblichini per tornare indietro di 80 anni, all’epoca dei nostri nonni.

Abbiamo dimenticato i nazisti? No, quelli ci sono, sono i russi di Putin. E dopo esserci ritrovati tra i piedi tutti i più loschi figuri e i peggiori ricordi degli anni 40 dell’altro secolo, cosa dobbiamo aspettarci ora? La morte di Putin a Giulino di Mezzegra o nel bunker della cancelleria di Berlino? E poi una nuova Norimberga, come ha evocato nei giorni scorsi il presidente Zelensky?

Ombre cinesi

Niente di tutto questo. Anche perché le tragiche morti di Mussolini e di Hitler hanno coinciso con la fine dei rispettivi regimi; mentre anche l’eventuale fine di Putin non comporterebbe che un cambio al Cremlino. E nessuno ci può assicurare che il successore sarebbe meglio dello Zar attuale.

E allora? Qualcuno ha evocato una nuova Jalta, secondo questo ragionamento: l’unica potenza che può bloccare Putin è la Cina. Ma la Cina non ha nessun interesse oggi ad intervenire: Xi Jinping è un gatto sornione che fa finta di non capire e di non vedere; e che guarda soddisfatto il suo peggior nemico (gli Stati Uniti) che sta combattendo con la Russia per interposta persona (gli ucraini).

Alla fine, Pechino pensa che entrambi si saranno necessariamente indeboliti. E pensa di approfittarne, dato che intanto ha messo in cantiere 24 portaerei. L’India, la grande potenza nucleare emergente, che sta raggiungendo la Cina sul miliardo e mezzo di abitanti, potrebbe fare il paio con l’Europa: gigante economico e nano politico. Ma, dice qualcuno, se si tornasse allo spirito di Jalta, forse la Cina sarebbe interessata a smuoversi.

Ci incontriamo in Crimea

Che cos’è stato lo spirito di Jalta? Nel 1944 Stalin aveva invitato in Crimea Churchill e Roosevelt per dividersi il Mondo. Non è stato uno scherzo anche se oggi lo può sembrare. All’epoca, la Conferenza di Jalta si tenne poi nel febbraio del 1945, ormai era pacifica la sconfitta nazi-nippo-fascista con la vittoria alleata, Stati Uniti, Russia e Inghilterra governavano l’80% delle terre emerse. E si erano divisi le zone di influenza: agli Stati Uniti andava l’intero continente americano e in joint venture con l’Inghilterra l’Europa occidentale, il Medio Oriente e l’Africa; alla Russia (all’epoca, Urss) andava l’Europa orientale fino a Berlino, i Balcani e una sorta di protettorato sulla Cina che con Mao Zedong si stava avvicinando a Mosca.

Questo accordo è rimasto in piedi fino al 1989, fino alla caduta del muro di Berlino e alla dissoluzione dell’Urss. Caso strano, proprio quel processo che oggi Putin vorrebbe annullare. Ebbene, una nuova spartizione del mondo in zone d’influenza potrebbe essere la molla che porterebbe la Cina al tavolo delle trattative. In cambio di Taiwan? Ed è possibile, oggi, trattare i popoli come si era fatto a Jalta nel 1944?

Un caso Friuli

Facciamo un’ipotesi assurda: Putin invade l’Italia e si dice disponibile a fermare la guerra in cambio del Friuli-Venezia Giulia. Potrebbero mai Draghi e Mattarella firmare un trattato di pace con la cessione di oltre un milione di cittadini italiani all’orso russo? E perché invece Zelensky dovrebbe farlo?

Si potrebbe dire: solo a patto che i friulani, a mezzo di un referendum, scelgano con chi stare. Lo stesso, a nostro parere, si può dire di Lugansk e Donbass (la Crimea ha già votato, a favore della Russia). Potrà essere un’ipotesi percorribile? E se votassero per restare ucraini, Putin farà spallucce e si ritirerà, o comincerà a lanciare bombe atomiche sui Paesi Nato?

Il nodo tedesco

L’Europa che ruolo ha in tutto questo? Lo sappiamo: sta fornendo a Zelensky tutte le armi che chiede, tranne il supporto aereo per non innescare una escalation. Ma è divisa sulle sanzioni, perché soprattutto la Germania non può fare a meno del gas russo. E così in poco più di un mese dall’inizio della guerra, parola dell’Alto Rappresentante Ue Borrell, l’Unione europea finora ha dato un miliardo all’Ucraina e 35 miliardi a Putin.

È come dire che l’Unione europea sta finanziando la guerra di Putin. Possiamo cambiare politica? Molto difficile. Non stiamo dicendo che la Germania non vuole restare al freddo: il gas russo serve per fare energia elettrica, senza la quale Bmw, Volkswagen e Audi si devono fermare, e con loro Bosch, Mercedes, Henkel e persino la Nivea. Con milioni di tedeschi a spasso. Possibile?

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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