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Inasprire le pene? No, facciamole scontare fino in fondo

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Inasprire le pene va sempre di moda. Alla politica piace proporlo, soprattutto in campagna elettorale. L’ultima novità arriva in tandem dalle forze di governo. Lega e 5 Stelle hanno promesso a gran voce condanne più pesanti per chi usa violenza contro gli animali.

No, scusate, non siamo d’accordo. Ma non perché non amiamo gli animali che danno gioia alla nostra vita.
Il ragionamento è più complesso, generale e provocatorio: invece di inasprire le pene, piuttosto riduciamole, ma facciamole scontare fino in fondo.

Che senso ha condannare un omicida a 30 anni e dopo meno della metà di quanto stabilito nella sentenza vederlo a spasso come se niente fosse? Meglio, molto meglio, una condanna a 20 anni, ma tutti passati in galera, dal primo all’ultimo giorno.
Benefici di pena, legislazione premiale? No grazie. Meccanismo al contrario: se non c’è la buona condotta, se in carcere ti comporti male, gli anni aumentano.

Senza rispetto

Il vero problema nel nostro Paese è che lo Stato ha perso credibilità, non incute più rispetto. Attenzione, non timore, ma rispetto. E per rimettere le cose a posto e dare sicurezza ai cittadini la certezza della pena è l’anello fondamentale, che lo si guardi da destra o da sinistra. Perché chi commette un reato troppo spesso sa già di farla franca; sa già che pagherà un conto molto meno salato di quello sancito in un’altisonante sentenza di condanna emessa in nome del popolo italiano.

Inutile grancassa

Troppo facile pensare a inasprire le pene: si suona solo un’inutile gran cassa che per giunta crea amarezza e rancore. Prima di tutto nell’animo delle vittime e delle loro famiglie, che subiscono un’ulteriore violenza quando vedono i colpevoli uscire anzitempo dal carcere. E poi nell’animo dei cittadini onesti, che di reati non ne commettono e pagano fior di tasse per essere tutelati.

Corruzione? Un giorno sì e l’altro pure è agli onori delle cronache. E allora paradossalmente basta a condanne così pesanti per questo reato. Invece di 12 anni diamone 8, ma 8 veri: 3mila giorni, 70mila ore tutte da passare dietro le sbarre, senza beneficio alcuno, dalla prima all’ultima. Scommettiamo che i risultati sarebbero diversi? Per tutti gli imprenditori, i politici e i faccendieri che sguazzano in questi traffici, ecco il deterrente: sapere che per un reato del genere si va dentro davvero, per un bel pezzo e senza scappatoie.

Onestà intellettuale

Proviamo a pensarci, altro che inasprire le pene. La funzione rieducativa? Passerebbe prima di tutto dall’onestà intellettuale di promettere e mantenere. Se sbagli, io Stato ti prometto che paghi con questa pena. E se lo fai, se commetti quel reato e ti condanno, la sconti tutta dall’inizio alla fine, costi quel che costi. Ti penti? Chiedi perdono? Tanto meglio, in carcere potrai svolgere tutte le attività riabilitative del caso, studiare, imparare un lavoro, ma uscirai solo quando sarà trascorso l’ultimo giorno previsto della sentenza definitiva.

Con una riforma del genere tutto sarebbe più chiaro, pulito e comprensibile; anche per chi pensa di commettere un reato: saprebbe che in Italia chi sbaglia paga, giovane o vecchio che sia. Ci sarebbero meno costi per la collettività, non aumenterebbe la popolazione carceraria e siamo sicuri che cambierebbero in meglio molte altre cose. Per chi lavora nelle forze dell’ordine, nei tribunali e negli istituti di pena. Per chi crede nello Stato di Diritto e chiede una Giustizia giusta, che non passa mai da un inasprimento delle pene, ma dal rispetto delle leggi, sempre e comunque uguali per tutti.

 

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Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.

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