Leone XIV e il Giubileo della Gioventù: Papa Prevost fa il pieno di energia e fiducia con i giovani, alla vigilia delle sue prime scelte importanti di inizio pontificato. Il milione di ragazze e ragazzi che ha coperto la distesa di Tor Vergata a Roma ha richiamato alla memoria i fasti partecipativi del Grande Giubileo del 2000, trionfo di san Giovanni Paolo II.
Eppure, molto è cambiato in questo quarto di secolo. Oggi, la gran parte dei partecipanti all’evento è composta da nativi digitali. Quando Papa Wojtyla prediceva che il chiasso dei ragazzi del Duemila non sarebbe mai stato dimenticato dalla Città Eterna, non c’era ancora stato nemmeno l’11 settembre, solo per fare un rilevante esempio di natura geopolitica.
Prima di rileggere le parole del regnante Pontefice ai giovani, vediamo un po’ cosa sono gli appuntamenti dedicati negli ultimi decenni alla “speranza della Chiesa”, per dirla sempre con il Papa polacco. E se si tratta davvero di una novità, per un’istituzione due volte millenaria.
La Chiesa e i giovani
Diciamo subito che la cosa è nuova solo in parte. Nel senso che sì, i grandi raduni transnazionali dedicati agli appartenenti alla fascia più giovane dei fedeli non avevano precedenti, se non per organizzazioni corporative ecclesiali ufficiali o semi-ufficiali com’era in origine l’Azione Cattolica. D’altra parte, l’attenzione per la formazione religiosa dei più giovani risale davvero agli albori della Chiesa. Prova ne sia il fatto che, superati i primissimi secoli di persecuzione imperiale romana, la comunità cristiana ha optato per il pedo-battesimo in luogo dell’originario battesimo degli adulti. Quest’impostazione puntante all’attrazione in seno alla Chiesa dei bambini rifletteva certo la trasformazione dell’Europa nella Christianitas, ma era anche segno della costante preoccupazione per lo sviluppo integrale della persona alla luce della fede.
Qual è, insomma, la grande differenza tra una Chiesa che pure per secoli ha monopolizzato o quasi la stessa istruzione delle giovani generazioni e ne ha curato capillarmente la formazione catechistica, e la Chiesa di 40 anni fa che con Papa Wojtyla inaugurò le Gmg (Giornate mondiali della Gioventù)? Semplice: la Chiesa sino alla Seconda guerra mondiale aveva ancora grande presa sociale, mentre la Chiesa delle Gmg comincia a prendere coscienza della propria tendenziale riduzione in minoranza a livello sociale e culturale.
Sicché, ad onta dell’imponenza delle adunate, le Gmg hanno rappresentato un ritorno all’essenziale. Muoversi, peregrinare, incontrarsi, fare esperienza: un approccio alla fede di tipo esistenziale e non più dogmatico-schematico. Le generazioni precedenti avevano potuto ancora appoggiarsi alle (relativamente) semplici risposte del Catechismo di Pio X: Dio l’Essere perfettissimo creatore del cielo e della terra, il Battesimo dà la fede e la fede la vita eterna, e via dicendo. Negli anni ’80 del secolo scorso ormai le cose erano cambiate e la Chiesa, con il Concilio Vaticano II, aveva dismesso la foggia della cittadella assediata dalla modernità e si era aperta al dialogo con le culture.
Da Roma al mondo e ritorno
Lo straordinario carisma comunicativo di Giovanni Paolo II e l’originalità della sua parabola personale (Papa dall’Est europeo in procinto di affrancarsi dall’orbita sovietica) hanno fatto il resto. Dalla prima intuizione romana del 1984 (anche quella volta in concomitanza di una ricorrenza giubilare, ma straordinaria, per il 1900° della Redenzione), le Gmg si sono susseguite prima con cadenza annuale nel 1986 e nel 1987, poi a ritmo biennale dal 1989, infine ogni tre anni dal 2000. I successori di Papa Wojtyla, Benedetto XVI e Francesco, hanno alimentato la tradizione.
Santiago, Częstochowa, Denver, Manila (edizione record con 5 milioni di partecipanti, evento iscritto nell’albo d’oro dei maggiori raduni di massa ufficialmente censiti), Parigi e ancora Roma. Quindi Toronto, Colonia, Sydney, Madrid, Rio de Janeiro, il bis di Cracovia, Panama e Lisbona, posticipata di un anno causa pandemia di Covid-19. Si è tornati ad un incontro biennale quest’anno e l’appuntamento è già stato dato a Seul nel 2027. Ogni Giornata ha un proprio logo e un tema-guida, sintetizzato da un passo del Vangelo. I simboli permanenti dell’evento sono una grande croce lignea consegnata da Giovanni Paolo II nel 1984 e una versione dell’icona mariana Salus Populi Romani della Basilica Liberiana (assai cara a Papa Francesco, che ha voluto trovare sepoltura vicino ad essa).
La ricetta di Leone
Veniamo finalmente a Papa Leone. Passiamo sopra, proprio come ha fatto fisicamente il Pontefice in elicottero su Tor Vergata, alle consuete amene considerazioni sul suo stile diverso da quello dell’immediato predecessore e appuntiamoci sui suoi insegnamenti. Leone XIV li ha impartiti attraverso un canale dialogico (tre risposte ad altrettante domande dei ragazzi) e un altro sacramentale (l’Adorazione eucaristica del sabato e l’Eucaristia domenicale accompagnata dall’omelia).
Rispondendo ai quesiti e celebrando il sacramentale e il Sacramento, il Papa discreto e gentile ha dato un’evidente e solida impostazione cristocentrica al suo magistero di questa due giorni. Tanto parlando dei social (messa in guardia contro i rischi della commercializzazione e della spersonalizzazione delle relazioni), quanto incitando a scelte di vita radicali (matrimonio, Ordine e consacrazione religiosa), passando direttamente per il rapporto con Gesù («l’amico che sempre accompagna la nostra coscienza»), il messaggio centrale di Leone XIV è la priorità dell’amore di Dio in Cristo che ci precede, ci sorprende e ci supera.
Nell’omelia non è mancata una citazione di Papa Francesco, con il favore per l’inquietudine interiore come sintomo di vitalità. Leone ha veramente impressionato soprattutto commentando le Letture del giorno: una straordinaria interpretazione in positivo del disincanto amaro di Qoelet, anche attraverso una citazione dell’amato Agostino. E poi l’accoglienza dell’appello a non riporre speranza nell’accumulo di beni materiali, rivolto dall’evangelista Luca (12, 13-21). Infine, l’invito a non accontentarsi di meno della santità («Aspirate a cose grandi») e l’additamento della via per conseguirla nella frequentazione ecclesiale («la preghiera, l’adorazione, la Comunione eucaristica, la Confessione frequente, la carità generosa»), in vista del contagio della società con l’entusiasmo e la testimonianza della fede.
Dalla fede privata al fermento sociale
Quando, tre anni or sono, il beato vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini è stato canonizzato, ne abbiamo elogiato il carisma proteso alla promozione del bene di tutto l’uomo e tutti gli uomini. Così, anche Leone XIV sfida con coraggio la tentazione del relegamento della fede cristiana in ambito privato, rivendicando con serena determinazione la funzione di fermento sociale del Vangelo. Per la Chiesa, come si diceva, è una sfida e per i giovani un’esigente responsabilità.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.