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Nuova via della seta: ci serve davvero una Cina più vicina?

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Una mappa della Belt and Road Initiative e il presidente cinese Xi Jinping

Nuova Via della Seta: l’avvicinamento tra Cina e Italia scatena un vespaio di polemiche dentro e fuori il nostro Paese. L’amministrazione Trump ha subito scagliato saette sul memorandum che il presidente Xi Jinping e il premier Conte sottoscriveranno a Roma la prossima settimana. E anche l’Unione europea si è fatta sentire: peccato che un’autentica politica comune continui a latitare.

Soliti schemi

Sul versante interno, la vicenda della Nuova via della seta è stata trattata per lo più secondo i soliti (e logori) schemi. Questo è vero sia all’interno della maggioranza tra Lega e 5 Stelle, sia nell’ambito delle opposizioni. Se nel primo caso fanno sorridere soprattutto gli smarcamenti filo-atlantici di Salvini (“Il memorandum è perfettibile”), tra le opposizioni non è da  meno la freddezza del Pd.

Infatti, è stato il governo Gentiloni a prendere l’iniziativa e svolgere gran parte del lavoro preparatorio all’accordo quadro sino-italiano. E come dimenticare che il maggior sponsor, nazionale e forse anche europeo, dell’apertura alla collaborazione con il Celeste impero è tuttora Romano Prodi?

5G e golden power

L’accordo-quadro sulla Nuova via della seta sembra verrà firmato come previsto. Quirinale, palazzo Chigi, Farnesina e ministero dell’Economia, oltre al dicastero dello Sviluppo guidato da Di Maio, hanno dato ampie rassicurazioni ai partner europei e oltreoceano.

Il presidente del Consiglio Conte riferirà martedì 19 marzo alla Camera, due giorni prima dell’arrivo di Xi a Roma. Ribadirà che il documento che si appresta a firmare è una semplice dichiarazione d’intenti. Che ogni accordo specifico sarà oggetto di apposita e separata negoziazione. Che sul fronte più caldo, quello della tecnologia 5G e della possibile apertura agli investimenti di Huawei, l’Italia tiene gli occhi ben aperti. E anzi, intende rafforzare il “golden power”, cioè il potere di veto del governo nei cda delle aziende operative in settori d’interesse nazionale strategico.

Ma c’è davvero da temere un rinnovato espansionismo cinese attraverso questa Nuova Via della Seta? In che cosa consiste? E tenersene alla larga sarebbe nel nostro interesse?

Logistica mondiale

La Belt and Road Initiative (Bri) è il più grande piano economico-diplomatico mai dichiarato, se non concepito. Il suo obiettivo, grazie alla costruzione di nuove infrastrutture di trasporto e logistiche, è connettere a scopo commerciale Asia, Africa ed Europa. L’idea della Nuova via della seta è stata formulata dal leader cinese Xi Jinping sin dal 2013.

La Bri consta in realtà di una pluralità di vie. I tratti principali sono due: quello terrestre, che mira a congiungere la Cina con la Spagna; e quello marittimo, che punta a integrare l’Asia meridionale con il bacino del Mediterraneo. 

Numeri da capogiro

Il progetto può contare su capitali enormi. Il perno finanziario della gigantesca iniziativa è l’Aiib (Banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali). L’ente ha già stanziato 100 miliardi di dollari, 30 dei quali cinesi e, tra gli altri, 2,5 italiani. In prospettiva, il totale degli investimenti in campo potrebbe raggiungere la cifra stratosferica di 1,8 trilioni di dollari. Non solo per i commerci ma anche per nuove tecnologie e trasferimenti di know-how.

Il piano punta a connettere la Cina con 65 Paesi, che rappresentano il 30% del Pil globale, il 62% della popolazione mondiale e il 75% delle risorse conosciute. Come dicevamo, oltre all’asse terrestre della Nuova via della seta, la rotta marittima, quella che coinvolgerà anche l’Italia, è pure di grande importanza, perché integrerà il sud-est asiatico con i Paesi del Golfo, del nord Africa e dell’Europa.

I porti italiani

E qui possono giocare un ruolo chiave i nostri porti, ultimi approdi nel Mediterraneo prima del transito merci verso il nord Europa. Se Taranto sembra aver perso appeal a favore dell’investimento cinese nel Pireo di Atene, Genova e soprattutto Trieste diranno la loro. Specie la città del leone vanta chance, per gli sbocchi nei Balcani e verso la Mitteleuropa.

Ambizioni cinesi e risentimento Usa

La bozza del memorandum Italia-Cina sulla Nuova via della seta è ora disponibile. L’impressione che se ne ricava è che rappresenti niente più di una cornice da riempire. Il che conferma le rassicurazioni in cui si è profuso soprattutto il professor Conte. Il riferimento alle telecomunicazioni, compresa l’allusione al protocollo dell’interoperabilità (coi connessi problemi di sinergie tra banche dati), non desta eccessive preoccupazioni. La delicatezza della materia in chiave sicurezza e condivisione di informazioni nell’ambito Nato è ben presente ai servizi d’informazione e per loro tramite al governo.

È chiaro, poi, che gli Stati Uniti si oppongono al nostro coinvolgimento nel progetto Bri per ragioni politiche e di prestigio. Con la guerra dei dazi in corso e una competizione a tutto tondo con il Dragone, Trump difficilmente avrebbe potuto far finta di niente. Ma i diktat dei giorni scorsi sono sembrati fuori luogo e sproporzionati. È chiaro d’altra parte che la strategia cinese prefigura un nuovo ordine internazionale pacifico e multipolare, con il Celeste impero in qualità di tutore della grande armonia.

Cautela ma coinvolgimento inevitabile

L’Italia, però, sulla Nuova via della seta non può restare a guardare. Siamo già fanalino di coda sia degli investimenti cinesi in Europa, sia delle esportazioni continentali in Cina. Per farsi un’idea: la Germania esporta in Cina per 90 miliardi di euro l’anno, noi per 13. Non possiamo correre il rischio della marginalizzazione, ma occorrono alcune cautele affinché l’infittirsi delle relazioni sino-italiane non ci fagociti.

Ad esempio, i business portuali dovrebbero essere condivisi attraverso joint venture tra imprese italiane e cinesi. Ancora: il mercato cinese dovrebbe essere maggiormente aperto alle nostre esportazioni. E Xi dovrebbe coinvolgerci a sua volta in investimenti congiunti nei Paesi emergenti, specie in Africa.

Infine, per sottrarci ai condizionamenti del nuovo grande partner, dovremmo essere attraenti come Paese anche per altri grandi investitori. Insomma, è il non-detto del memorandum sulla Nuova via della seta che conta: l’essenziale, però, è che venga fatto al più presto.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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