Cina: il grande Dragone sta cambiando pelle. E con la sua muta silenziosa condiziona l’andamento dell’economia mondiale in modo sempre più pesante, come dimostra anche il crollo di Apple in Borsa, causato soprattutto dal calo delle vendite di iPhone a Pechino e dintorni. Diventa allora fondamentale capire cosa sta succedendo nell’impero guidato da Xi Jinping, che nell’ottobre di quest’anno festeggerà i 70 anni al potere della dinastia comunista.
Cicale cinesi
La prima notizia in arrivo da Pechino, anche per il Wall Street Journal, è che i cinesi sono diventati più ricchi, consumano di più e risparmiano meno. Tra il 2015 e il 2018 la loro spesa in servizi esteri, principalmente turistici, per esempio è aumentata da 50 a oltre 80 miliardi di dollari. Sia chiaro, se la passano meglio, ma restano dei grandi lavoratori e dei grandi esportatori di prodotti di tutti i tipi. Le loro vendite all’estero però hanno rallentato il passo e non solo per la guerra dei dazi e dell’hi-tech con gli Stati Uniti. Il surplus commerciale della Cina era di 150 miliardi per trimestre nel 2015, mentre l’avanzo si è ridotto a 100 miliardi nel terzo trimestre del 2018.
L’aumento dei consumi e la parallela riduzione del risparmio cinese ha effetti anche sul mercato finanziario internazionale. Per esempio l’acquisto di obbligazioni americane è in calo. I Treasury Usa nelle mani di Pechino sono scesi a 1.100 miliardi di dollari (erano 1.300 nel 2013). E il trend discendente potrebbe continuare nel 2019. Con il rischio che un ulteriore calo della domanda cinese, sempre per la guerra commerciale con Washington, spinga la Fed ad alzare i tassi con effetti negativi per imprese e consumatori a stelle e strisce.
Cina e investimenti
Se Pechino risparmia meno, gli effetti si sentono pure sul fronte degli investimenti. Calano le risorse interne a questo scopo e allora servono più capitali dall’estero per sostenere lo sviluppo della sua economia. Guarda caso è proprio quello che sta succedendo: nel secondo trimestre del 2018 la Cina ha attirato ben 61 miliardi di investimenti, triplicando i flussi netti dei suoi livelli trimestrali. Chi ci rimette? Tutti gli altri, nessuno escluso. A partire dai Paesi emergenti, che nel 2018 hanno dovuto fronteggiare un calo degli investimenti esteri di 45 miliardi netti.
La partita continua
Anche se quest’anno il suo Pil potrebbe subire un colpo di freno rispetto al +6,5% previsto nel 2018, nei fatti il Dragone cinese è sempre di più forte. E un battito d’ali a Pechino ormai condiziona il clima economico dell’intero pianeta da Cupertino all’Africa. D’altro canto, la Cina, per sviluppare il suo enorme mercato interno e conquistare la leadership economica mondiale, ha bisogno di continuare a sostenere gli investimenti, il motore avviato quarant’anni fa da Deng Xiaoping e che da allora spinge la sua crescita incessante.
Soprattutto su questo tavolo Xi Jinping giocherà così la sua partita nel 2019. La prima mossa, vista la necessità di attirare maggiori capitali, più facili da ottenere in un clima rasserenato, potrebbe essere la fine della guerra dei dazi con Donald Trump. Ma comunque vada, Pechino resta sempre in vantaggio. Perché da Washington a Bruxelles i suoi avversari invece di coalizzarsi continuano a muoversi in ordine sparso. E questa debolezza rischia di essere fatale per il futuro economico del mondo occidentale.
Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.