Robot al lavoro e dipendenti licenziati. Non sta succedendo in un Paese lontano e super tecnologico ma nella provincia italiana. In Umbria, a Petrignano d’Assisi, la Colussi ha fatto questa scelta. A ottobre ha annunciato 125 licenziamenti (115 operai e 10 impiegati) e oggi tratta con i sindacati su 85 lavoratori da lasciare a casa. L’azienda è in crisi? Tutt’altro. Ha annunciato un piano d’investimenti da 80 milioni di euro. Nota per i suoi biscotti ma anche per altri marchi (Agnesi, Misura, Riso flora), la Colussi spiega così la decisione: “Il contesto competitivo sempre più spinto e il ricorso a soluzioni produttive tecnologicamente avanzate rende inevitabile una fisiologica riduzione della forza lavoro impiegata”.
Robot: non c’è partita
Proviamo metterci nei panni di un imprenditore come Angelo Colussi Serravallo, che presiede il gruppo umbro (oltre 1.700 addetti e circa 450 milioni di fatturato). I robot, e cioè macchine dotate di intelligenza artificiale, inizialmente possono avere costi alti, ma poi si ripagano alla grande. Lavorano 24 ore su 24, non fanno ferie né malattia e non hanno bisogno di un salario. In più, niente errori, drastica riduzione degli incidenti sul lavoro e naturalmente nessuna vertenza sindacale con scioperi annessi. Volete mettere? Altro aspetto da non sottovalutare: chi comincia a dotarsi per primo dei robot diventa molto più competitivo e batte la concorrenza. Quindi è una scelta azzeccata per la felicità di azionisti e investitori.
Un trend mondiale
Ma l’Italia e la nostra splendida Umbria non sono l’ombelico del mondo. Il fenomeno della robotizzazione del lavoro sta esplodendo dappertutto. Parlando all’Associazione americana per il progresso della scienza (Aaas), l’anno scorso Moshe Vardi ha lanciato un monito inquietante. Per il docente di computer science della Rice University del Texas, entro il 2050 la metà dei posti di lavoro nel mondo potrebbe essere appannaggio dei robot. Addirittura un report dell’Onu ha sostenuto che i robot potrebbero rimpiazzare due terzi dei lavoratori nei Paesi in via di sviluppo. Insomma, nemmeno la manodopera a basso costo sarebbe un’argine sufficiente.
Robot: il quadro italiano
E nel nostro Paese cosa sta succedendo? Aziende e imprenditori sono sulla cresta dell’onda. Dati alla mano, potremmo essere tra i primi a fare i conti con il problema dei robot. I numeri arrivano da uno studio di Adp Italia, filiale del colosso americano del settore delle risorse umane. Da noi si contano in media 160 robot industriali ogni 10.000 dipendenti (1 ogni 62,5 lavoratori), mentre in Spagna siamo a 150 e in Francia a 127. “Si stima che in Italia la percentuale di occupati a rischio automazione sia pari al 14,9%, ovvero 3,2 milioni di persone“, spiega il report di Adp. “Tra i settori maggiormente esposti alla sostituzione uomo-macchina vi sono agricoltura e pesca (25%), commercio (20%) e l’industria manifatturiera (19%)”.
Investimenti miliardari
Per farla breve sotto i nostri occhi è in corso una nuova rivoluzione industriale sostenuta da investimenti miliardari. Sempre secondo Adp, solo in Italia il mercato dell’Industria 4.0 (connessione tra sistemi fisici e digitali, analisi complesse attraverso Big data e adattamenti in tempo reale) ha raggiunto gli 1,83 miliardi di euro a fine 2016. La crescita è stata del 18,2% rispetto all’anno precedente. E nel primo trimestre del 2017 la domanda è aumentata tra il 10% e il 20%, con aspettative ottimistiche per l’intero anno.
Robot: domande inquietanti
Di fronte all’innovazione tecnologica che riduce l’occupazione le domande sono tante: che fine faranno i lavoratori sostituiti dai robot? Resteranno disoccupati? Come si potranno mantenere? E chi pagherà le tasse al loro posto? In sostanza, se c’è un’industria 4.0, manca un welfare 4.0. L’ipotesi più gettonata è quella di imporre una “robot tax” a chi sceglie l’intelligenza artificiale al posto degli esseri umani. Il sistema potrebbe garantire le casse pubbliche e un reddito di cittadinanza a chi ha perso il lavoro o non ne trova a causa loro, formazione compresa per cercare un nuovo posto. Purtroppo però la politica italiana sembra indaffarata in altre cose invece di dedicarsi a questo tema. Ma il tempo stringe, perché il rischio che esplodano nuovi casi Colussi è dietro l’angolo.
Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.