Embraco ed Ema, per non parlare dei migranti. Con l’Europa siamo in crisi da tempo. E gli ultimi due casi confermano che su scala continentale l’Italia perde sempre. Quello dell’azienda brasiliana controllata dalla Whirlpool è emblematico. A casa oltre 500 lavoratori piemontesi, perché l’Embraco ha deciso di delocalizzare in Slovacchia lo stabilimento di Riva di Chieri per usufruire delle migliori condizioni economiche e fiscali garantite dal governo di Bratislava.
Embraco: un’Europa giusta?
E qui siamo al primo punto. È un’Europa giusta? Dà a tutti i cittadini dell’Unione le stesse opportunità in un quadro trasparente? Senza addentrarci più di tanto nei meccanismi euroburocratici, i dubbi restano. Perché se l’Euro ci mette tutti sullo stesso piano, la mancanza di una politica fiscale altrettanto comune consente giochetti difficili da controllare sotto il profilo della concorrenza tra i 28 Paesi della Ue. Dalla tassazione delle imprese al costo del lavoro, per non parlare di politica industriale, fonti energetiche e ambiente.
Il tutto avviene in un rapporto complesso, che intreccia Unione europea, Stati e Regioni interne più o meno sfavorite, indipendentemente dal Paese di appartenenza. È accettabile che l’Embraco possa godere in Slovacchia di vantaggi fiscali fino al 35%? E che in Italia ci siano regioni come Campania, Calabria, Sicilia, Puglia e Basilicata con sgravi fino al 25%?
Qualcuno che fa dell’Europa la panacea di tutti i mali dovrebbe provare a spiegarci se queste differenze sono attuali e corrette per creare nuovi posti di lavoro. Basate prima di tutto sul Pil pro capite, queste misure penalizzano le regioni una volta industriali che oggi arrancano nelle maglie della crisi. Hanno know how, maestranze di alto livello, ma vengono abbandonate come nel caso piemontese. Così il lavoro si sposta e non si crea, producendo disoccupati in aree che non godono di vantaggi fiscali. E quindi con poche possibilità di trovare un’altra assunzione per l’arrivo di nuove imprese.
Ema: quanto conta l’Italia?
Dall’Embraco passiamo all’Ema. La storia la conosciamo bene. Milano, candidata ad ospitare l’Agenzia europea per i medicinali, è stata sconfitta al sorteggio (viva la meritocrazia) da Amsterdam. Poi è emerso che la città olandese ha barato e non è in grado di garantire quanto promesso. Così sono partiti i ricorsi italiani per chiedere che l’Ema venga riassegnata a Milano, con tutti i vantaggi che ne conseguono. Ma adesso Bruxelles sostiene che nel caso non è detto che il capoluogo lombardo possa avere soddisfazione. Insomma, tra i due litiganti potrebbe arrivare una terza città a prendersi l’Agenzia, guarda caso tedesca o francese, lasciando Milano con un palmo di naso.
E qui siamo al secondo punto. Quanto conta l’Italia in Europa? Siamo uno dei Paesi fondatori della Ue, versiamo fior di quattrini nelle casse di Bruxelles, ma quando ci sono da fare i conti il nostro peso specifico sembra sempre minore di quello degli altri. Abbiamo uomini di valore nelle istituzioni europee, da Draghi a Tajani, ma probabilmente non basta a far sentire la nostra voce.
Senza dimenticare l’emergenza migranti, e la solitudine vergognosa in cui ci ha lasciato Bruxelles (spinta proprio da Paesi come la Slovacchia), anche davanti a vicende come quelle di Embraco ed Ema molti italiani non possono che sentirsi sempre meno europei. Di certo non è un bene. Ma se le cose non cambieranno, il populismo anti Ue, a cui la Lega e i 5 Stelle hanno messo la sordina, potrebbe ricominciare a farsi sentire. E una Brexit tricolore rischia di tornare all’ordine del giorno nei prossimi tempi.
Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.