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Riforma del processo penale: la montagna ha partorito un topolino

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Marta Cartabia, ministro della Giustizia

Processo penale: il ministro della Giustizia Cartabia ha ottenuto, grazie alla mediazione del premier Draghi, l’approvazione del consiglio dei Ministri sulla sua prima riforma.

Ma prima di entrare nei dettagli del provvedimento, concedeteci una breve digressione. Occorre dire che se oggi, luglio 2021, dopo un anno e mezzo di pandemia, dopo tutti i tipi di lockdown, dopo tutti gli inviti alla semplificazione, alla digitalizzazione, allo smart working, alla transizione tecnologica, per depositare una nomina a difensore o una lista testi non si può inviare una pec, ma occorre presentarsi di persona – previo appuntamento via mail – alla sede della Procura, la Giustizia ha veramente bisogno di una riforma radicale, anche se fosse la Superman dei processi (e tutti sappiamo che non lo è affatto). Beh, la riforma Cartabia prevede anche l’uso della pec, buon ultima dopo tutte le altre pubbliche amministrazioni. Meglio tardi che mai.

Il nodo prescrizione

Partiamo dal tema della prescrizione. Il più scivoloso, perché i 5 Stelle non potevano perdere quel minimo di faccia loro rimasta su un tema del genere. La soluzione trovata – tutta italiana – è sul termine. Adesso la prescrizione cesserà di correre dopo la sentenza di primo grado, come prevedeva la riforma Bonafede, l’appello dovrà durare non più di due anni e la Cassazione non oltre i dodici mesi, tranne pochi casi di processi particolarmente complessi o con molti imputati. Ma se si supera il limite il processo non si prescrive più. Diventa improcedibile. Ma è la stessa cosa, direte voi. Si, ma così si sono salvate le apparenze.

Limiti al Pm

Il testo della riforma stabilisce che il pubblico ministero possa chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato solo quando gli elementi acquisiti consentono una “ragionevole previsione di condanna” e non, come avveniva finora, quando ritiene che gli elementi acquisiti possano sostenere il processo. Che differenza c’è? Ancora una volta nessuna, ma sembra che cambi tutto.

L’obbligatorietà dell’azione penale

Sarà anche sancita dall’articolo 112 della Costituzione, ma la riforma cambia ugualmente: “Gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito di criteri generali indicati con legge dal Parlamento, dovranno individuare priorità trasparenti e predeterminate, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure e da sottoporre all’approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura”.

Cosa vuol dire? Che, per esempio, quest’anno si privilegiano gli stupri e gli omicidi stradali, lasciando prescrivere i reati di mafia e le corruzioni. L’anno prossimo si privilegeranno gli infortuni sul lavoro a discapito delle rapine. Costituzionale? No, per niente. Secondo noi questa parte non passerà al vaglio della Consulta, nonostante sia proposta da una sua ex presidente. Sempre che non venga modificata dal Parlamento in itinere.

Modifiche all’appello?

Non scherziamo, c’è scritto davvero: “Si recepisce il principio giurisprudenziale dell’inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi”. Cosa vuol dire? Che se impugno una sentenza dicendo che è brutta, scritta in un italiano approssimativo e comunque ingiusta nei confronti del mio cliente l’appello verrà dichiarato inammissibile. Esattamente come oggi, ma cosa lo diciamo a fare?

Forma scritta per la Cassazione

Questo ci sembra un punto buono, perché per arrivare al processo di Cassazione è necessario stendere e inviare alla Corte complessi ed esaustivi motivi, che devono a loro volta passare al vaglio dell’ammissibilità dell’apposita sezione della suprema corte. A quel punto, tranne che in rarissimi casi, quando arrivi a Roma, magari dopo ore di viaggio, ti senti dire: “Avvocato, lei si richiama ai motivi, vero?”, obbligandoti solo a ripetere quanto hai già scritto. Trasformare quindi nella maggioranza dei casi il grado di legittimità nella sola trattazione scritta ci sembra una ottima soluzione.

Pene pecuniarie sostitutive

Si prevedono nuove pene sostitutive (detenzione domiciliare, semilibertà, lavoro di pubblica utilità e pena pecuniaria) che saranno direttamente irrogabili dal giudice della cognizione, entro il limite di quattro anni di pena inflitta. È esclusa la sospensione condizionale. Per ridurre l’affollamento delle carceri e rendere effettiva la pena si sostituisce – nei casi più lievi – il lavoro di pubblica utilità o una sanzione pecuniaria. Giustissimo che questo venga sancito dallo stesso giudice e non dal Tribunale di Sorveglianza, che ha sede in ogni corte d’Appello. Se funzionerà sarà un’ottima modifica.

La messa alla prova

Per reati fino a sei anni si potrà proporre la “messa alla prova”. In cosa consiste? L’imputato si presenta in udienza, ammette la sua colpevolezza e propone un piano di recupero: per esempio, per sei mesi sistemerò la biblioteca comunale di Castell’Arquato. Il Comune ha già dato il suo assenso scritto. Il giudice potrà rispondere che sei mesi per sei anni gli sembra poco: aggiunga la pulizia delle aiuole del cimitero di Mucinasso per altri 12 mesi e l’affare è fatto. Tutto qui? No: il processo è rinviato fino alla fine della prova. Alla successiva udienza l’imputato si dovrà presentare con una dichiarazione dei Comuni dove ha lavorato che confermano la bontà e l’effettività dell’impegno e allora il reato sarà estinto.

Pannicello caldo…

Insomma, tra furbizie all’italiana, sotterfugi e qualche – minima – innovazione, la riforma Cartabia avrà buone possibilità di passare al vaglio del Parlamento e dell’Europa. Sarà la panacea del disastrato procedimento penale? Ma certo che no. Assomiglia più ad un pannicello caldo, ma di più, con i 5 Stelle sul piede di guerra e il tempo ristrettissimo che ci è stato concesso, non si poteva proprio fare.
Diciamo che non sono modifiche malvagie. Al più inutili, ma per ora basta così.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

1 commento

  1. Mi par di capire che il processo svanisca (improcedibilità ) al termine dei due anni che decorrono NON dall’inizio del processo d’appello ma dall’ultimo giorno in cui è possibile impugnare la sentenza di primo grado (tra l’impugnazione della sentenza e l’inizio del processo d’appello passano mesi e mesi, a Napoli e altri tribunali affollati, anni). Dati gli ovvii incentivi, e la conseguente non punibilità, tanto vale eliminare il primo grado e dunque i processi tout court – a beneficio del bilancio e debito pubblico

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