Home Attualità

Unioni gay e confessione: dietro le scelte di Papa Francesco

unioni-gay-e-confessione-dietro-le-scelte-di-papa-francesco
(foto di Marco Garro)

Papa Francesco: il no alla benedizione delle unioni omosessuali e il richiamo ai preti che confessano. Negli ultimi giorni si è realizzata una singolare coincidenza di comunicazioni vaticane, tra loro non collegate.

Da una parte, il responso della Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio) in ordine all’intenzione di alcuni sacerdoti di invocare il nome divino sui rapporti fra persone dello stesso sesso. Dall’altra, l’intervento papale al 31° Corso sul Foro interno, organizzato dalla Penitenzieria apostolica, retta dal cardinale Mauro Piacenza.

Il collegamento, in realtà, ci permettiamo di istituirlo noi. I due fatti sono solo avvenuti a stretto giro: l’allocuzione pontificia ai confessori è del 12 marzo, la pronuncia della Dottrina della Fede del 15 marzo. Perché, dunque, vederci un nesso? Secondo noi perché l’atteggiamento ecclesiale che sta sullo sfondo del monito sulle unioni omosessuali si capisce meglio a partire dal modo con cui il Papa ha suggerito ai preti di comportarsi come ministri del sacramento della Riconciliazione. Andiamo a scoprire l’intreccio. Prima, però, dovremo spendere una parola sul rapporto fra i responsi dell’ex Sant’Uffizio e il magistero del Papa.

L’alter ego del Papa

La Congregazione per la Dottrina della Fede è il dicastero della Curia romana che si occupa di fede e costumi. È una specie di super-ente, perché nella Chiesa non c’è questione che non riguardi le materie di cui essa si occupa. Ha sempre avuto un rapporto speciale col Papa, al punto che, fino alla riforma della curia di san Paolo VI (1967), il Pontefice se ne considerava il prefetto. Questa particolare relazione formale stava a significare lo speciale rapporto sostanziale tra il Papa e l’allora Sant’Uffizio. 

La quasi identificazione fra il vescovo di Roma e la Dottrina della Fede non è venuta meno dopo il Concilio Vaticano II. Anzi, sulla scorta della sua produzione di documenti non solo amministrativi e giudiziari (è un tribunale supremo per i più gravi delitti canonici commessi dai chierici), ma anche di indole magisteriale, essa è considerata un alter ego del Pontefice come maestro e dottore di tutta la Chiesa. Insomma: ciò che insegna la Congregazione per la Dottrina della Fede, è come se fosse insegnato dal Pontefice.

La benedizione alle coppie gay

Il responso di qualche giorno fa, relativo alla sussistenza o meno, in capo alla Chiesa, del potere di benedire le unioni fra persone dello stesso sesso, è un’attività di supporto agli Episcopati nazionali. Serve a togliere dubbi reali o presunti circa questioni dottrinali e pratiche, sorti nelle chiese sparse per il mondo.

I sacramenti e i sacramentali (cioè, gli aiuti attraverso cui i fedeli sono aiutati a comprendere gli effetti dei sacramenti) fanno parte della liturgia, che è un’azione e, dunque, una questione pratica. Le benedizioni sono, appunto, dei sacramentali: il responso della Dottrina della Fede lo precisa, nella sua lunga nota esplicativa. La risposta, in ordine alla questione dibattuta, è negativa: la Chiesa non dispone, né può disporre del potere di benedire le unioni omosessuali. 

La spiegazione è più importante della precisazione, che era del tutto scontata. E la spiegazione non si occupa della tradizionale questione se l’omosessualità sia o meno contro natura. La risposta si appunta sul rapporto tra sacramenti, sacramentali e la grazia divina. Non si può invocare l’approvazione divina (è in questo che consiste la benedizione) su quanto non è conforme al disegno divino, com’è rivelato nella Scrittura e dalla Tradizione.

Siccome la pratica sessuale, conformemente a questo disegno, s’intende limitata all’ambito matrimoniale e siccome il matrimonio concerne solo l’unione indissolubile di un uomo e di una donna, le relazioni omosessuali non possono considerarsi matrimonio e non possono, quindi, essere benedette.

Si possono benedire le persone omosessuali, ricorda il responso, non le unioni fra di loro. Nessuna discriminazione, anzi, comprensione e delicatezza verso le persone che manifestano l’inclinazione omosessuale: è la disposizione che ha anzitutto Dio verso di loro, ma questo non può implicare che Dio approvi il peccato. La benedizione è solo per i peccatori.

Confessore e penitente

Ecco che la distinzione fra peccato e peccatore ci fa transitare al discorso del Papa ai confessori. Il suo è stato un richiamo come sempre molto concreto, senza formalità, a cuore aperto. Il compito del confessore è specialmente delicato. Forse non tutti sanno che la facoltà di confessare non consegue automaticamente all’ordinazione sacerdotale.

I preti devono essere espressamente autorizzati a farlo dal loro vescovo e dovrebbero domandare il permesso agli altri vescovi, quando volessero confessare fuori della loro diocesi. La prima cosa ricordata da Papa Francesco ai penitenzieri è che il confessore deve sapere prima di tutto di essere egli stesso un peccatore perdonato. Solo così il ministro del sacramento può disporsi a svolgere il suo ruolo non facile e, verosimilmente, sempre meno compreso.

Oltre alla fratellanza, il confessore deve ispirare il suo ministero a sentimenti di pace e paternità. Non deve, in particolare, trasformare il colloquio in una punizione: ad esempio, manifestando una curiosità morbosa su certi dettagli, che già il fedele si dimostra a disagio nel riferire.

L’amore è la chiave di volta: soltanto sentendosi amato da Dio e accolto dal ministro della Chiesa, il penitente può porre le basi per il ripensamento della propria vita. Ci permettiamo di aggiungere che la celebrazione della Penitenza è il sigillo di un percorso di revisione della propria condotta, almeno già cominciato. Non a caso, in ambito canonico, l’altro nome di questo sacramento è proprio “Sigillo sacramentale”. È a questo che Papa Francesco alludeva, ammonendo che celebrare la Penitenza non è come andare in tintoria a far smacchiare gli abiti.

Rispetto anche per la Chiesa

Attraverso il magistero di Papa Francesco, la Chiesa richiama se stessa alle esigenze dell’amore di Dio, premessa dell’accoglienza di ogni essere umano, a cominciare da chi umilmente domanda perdono al Signore. La Chiesa, però, domanda anche rispetto e tolleranza per la propria fede. Accusarla di discriminazione perché non benedice le unioni omosessuali vorrebbe dire tentare di coartarne le convinzioni e la libertà.

+ posts

Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

Articolo precedenteFabrizio Corona è davvero una vittima del sistema giudiziario?
Articolo successivoLa moschea della Caorsana e i balletti del centrodestra piacentino

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.