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Baby gang, allarme sicurezza: è vera emergenza?

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Baby gang: non si parla d’altro, in questi giorni. Ma è una vera emergenza? Cominciamo con una rapida rassegna degli ultimi episodi di criminalità, che hanno avuto per protagonisti proprio delle bande di minori e non solo nelle periferie delle grandi città.

Baby gang: da Verona a Napoli

Il caso più grave, un omicidio, risale al 19 dicembre scorso ed è stato risolto dagli investigatori solo il 13 gennaio. In provincia di Verona, due ragazzi di 13 e 17 anni hanno arso vivo nella sua auto un cittadino marocchino. Il senzatetto vi trovava riparo dopo aver perso il lavoro. Purtroppo, era entrato nel mirino di un gruppo di bulli. Due di loro, alla fine, gli hanno dato fuoco. Motivazione: niente di personale, uno scherzo fatto per evadere dalla noia.

Sono paradossalmente più noti i casi, fortunatamente senza decessi, in cui le vittime delle baby gang sono minorenni come gli aggressori. Per tutti, valga il caso notissimo di Arturo, il 17enne accoltellato alla gola a Napoli prima di Natale da un 15enne. Assistito, quest’ultimo, dai suoi compagni teppisti: protagonisti abituali di angherie, soprusi e reati in danno dei residenti del loro quartiere.

Ma ci sono anche casi di autentica criminalità organizzata, con protagonisti dei minori. E non solo al Sud. A fronte di una banda di 7 componenti (4 dei quali minorenni) sgominata nel Napoletano, il cerchio si starebbe chiudendo su un analogo gruppo nel Modenese. Anche qui, 6 o 7 ragazzini si sarebbero resi responsabili di furti e rapine seriali, in città e provincia. Con metodi e tecniche da delinquenza professionale. Rapine a mano armata, vetrine spaccate con i tombini e addirittura la sostituzione della macchina rubata per effettuare i colpi.

Baby gang: un po’ di numeri

Secondo il Dipartimento di giustizia minorile del Ministero della Giustizia, i minori in carico ai servizi residenziali, al 15 dicembre scorso, erano 1.459. Nell’analogo periodo del 2016 erano 1.364. Di questi 1.459, 437 si trovano presso gli istituti penali e 990 presso comunità del privato sociale. Ci sono poi quasi 6.300 minori in carico ai servizi sociali. Di questi, 1.700 si trovano in regime di messa alla prova, che è uno degli strumenti normativi più importanti del diritto penale minorile.

I soggetti presi in carico per la prima volta dalla giustizia minorile, invece, sono diminuiti dai 5.607 del 2016 ai 5.148 di quest’anno. Quanto all’età della prima presa in carico, la parte del leone è sempre fatta dai 17enni. Ma i casi sono diminuiti, rispetto all’anno scorso, per tutte le età. Compresi i giovani adulti: sono i soggetti tra i 18 e i 25 anni, che possono scontare la pena, per reati commessi da minorenni, nel circuito della giustizia minorile.

Quanto ai delitti commessi dai minorenni, sono complessivamente diminuiti. Compresi i più gravi, quelli contro la persona: erano 14.164 nel 2016, sono stati 13.369 nel 2017. Ma al loro interno sono aumentati, tra gli altri, proprio gli omicidi: sia tentati (208 contro 191), sia consumati (117 contro 96). In crescita anche le violenze sessuali e lo stalking.

Tribunale e processo dei minori

Nell’ordinamento italiano, il minorenne non è imputabile prima dei 14 anni. Tra i 14 e i 18 anni, occorre provare di volta in volta la sua capacità d’intendere e di volere. Che è invece presunta per i maggiorenni.

La giustizia minorile si fonda sui Tribunali dei minori, organo giurisdizionale specializzato, a tutela del carattere evolutivo dell’età adolescenziale. Il Tribunale dei minori è competente per distretto di Corte d’appello e la sua istituzione risale al 1934. La recente proposta di sopprimerlo ha suscitato vivaci opposizioni, consigliando al Governo di stralciare la norma relativa, non più votata.

Il processo penale minorile è invece disciplinato dal Dpr 448/1988. È un mix di misure giocate sul recupero e sulla prevenzione. Tende a minimizzare l’impatto dell’amministrazione della giustizia sui giovani. Semplificando, è “Nessuno tocchi Caino” alla potenza. Ma come non ammettere che ai minori occorra riconoscere altre chance?

Baby gang: il rispetto degli altri

È sul tessuto familiare ed educativo che bisogna anzitutto agire, prima ancora che sul terreno dell’ordine pubblico. Anche perché di sicurezza si finisce per parlare a corrente alternata, con preferenza (come ora) in periodi elettorali.

Il ministro dell’Interno Minniti, piombato a Napoli per l’emergenza, ha parlato di togliere la potestà genitoriale a quanti sono coinvolti nelle organizzazioni malavitose. Ma, fuori dai casi-limite, è urgente che tutti gli educatori siano solleciti nell’insegnare ai giovani il rispetto degli altri. Fin dalla più tenera età, perché dopo è troppo tardi.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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