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Brizzi, violenza sessuale archiviata ma le Iene attaccano ancora: cosa farà il regista?

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Fausto Brizzi: il giudice per le indagini preliminari di Roma Alessandro Arturi ha emesso un decreto di archiviazione per le accuse di violenza sessuale a carico del famoso regista. Perché il gip ha preso questa decisione? Il caso è chiuso o potrebbe avere un seguito?

Prima di tutto riassumiamo i fatti. Nel novembre 2017, durante il programma Le Iene, va in onda su Italia1 un’inchiesta di Dino Giarrusso. Al centro del servizio televisivo una serie di testimonianze in gran parte anonime: sono donne che accusano di abusi sessuali il regista Fausto Brizzi (Notte prima degli esami, Ex, Poveri ma ricchi). Scattano le denunce a suo carico. Ma esaminate tre di loro, il Pubblico ministero ne chiede l’archiviazione. Le parti offese però impugnano la decisione della Procura. E ieri il gip ha confermato l’archiviazione.

Brizzi e motivazioni del Gip

“L’impianto narrativo articolato nell’atto di querela non consente di individuare, neppure in astratto, elementi fattuali qualificanti l’assunta violenza sessuale”, scrive Arturi. In un altro passaggio, il magistrato definisce “evanescenti” e “impalpabili” le iniziative di presunta prevaricazione messe in atto da Brizzi. Il gip parla anche di “estrema problematicità di riconoscere in una tale tipologia di approccio una reale potenzialità costrittiva della volontà della pretesa vittima”.

Per le altre due accusatrici di Brizzi, oltre allo “scarso pregio delle circostanze dedotte”, il giudice evidenzia la “tardività della querela”. La legge italiana prevede per i casi di violenza sessuale un termine doppio rispetto agli ordinari 90 giorni necessari per presentare una querela. Ma decorsi 6 mesi (come in questo caso) le querele devono intendersi comunque tardive.

Iene e realtà processuale  

Dopo l’archiviazioneLe Iene hanno replicato: “E ora Brizzi ci denunci”, sostenendo la bontà e la veridicità dei loro servizi. “Noi abbiamo raccolto i racconti di 15 ragazze che lo accusano”. Al programma di Mediaset dimenticano però un principio tanto sacrosanto quanto poco noto: la differenza che corre tra realtà dei fatti e realtà processuale.

Il giudice non è (né deve essere) Dio. E la giustizia umana non ha certamente nulla da spartire con quella divina. Cosa significa? Che un fatto o più fatti possono benissimo essere accaduti, ed essere anche riprovevoli. Ma possono restare impuniti se non si osservano determinate regole nel denunciarli. Chiamiamole per convenzione “norme giuridiche”, fissate da altri uomini, “legislatori” o “rappresentanti del Popolo” che dir si voglia.

Il giudice deve pronunciarsi iuxta alligata et probata, dicono i vecchi legulei. E cioè secondo quanto gli viene mostrato e provato. Guai se il giudice dovesse decidere in base alle voci popolari o alla sua conoscenza personale. Anzi, se il gip di Roma fosse stato presente ai fatti, avrebbe dovuto astenersi dal giudicarli.
Brizzi quindi potrebbe anche aver commesso quanto sostengono Le Iene. Ma le parti offese non sono riuscite a dimostrare i loro assunti. O comunque non sono risultate abbastanza credibili.

Il peso delle circostanze

Il giudice capitolino, almeno nel primo caso preso in esame, non si limita infatti a sostenere che mancano le prove della colpevolezza di Brizzi. Esclude che “un cambio nel tono di voce” o una “maggiore risolutezza” da parte del regista possano aver intimidito “una donna di 30 anni, con una solida esperienza di vita alle spalle, non già un’adolescente sprovveduta”.

Nello stesso tempo osserva che “in caso di comportamento poco compiacente” la donna avrebbe rischiato di perdere “200 euro per due comparsate nell’ambito del film in lavorazione”. Cosa che il giudice ritiene non sufficiente a configurare una possibile “posizione di preminenza per ottenere favori sessuali estorcendo alla vittima un apparente consenso”.

Infine, il gip scrive che la donna “non si è astenuta dal ritornare presso lo studio professionale di Brizzi, accettando evidentemente l’eventualità di incappare in rinnovate profferte sessuali e, dunque, nella medesima situazione fonte di tanto, seppur tardivo, pentimento”. Una serie di circostanze univoche e concordanti che hanno fatto ritenere infondata la denuncia.

Brizzi: e adesso?

Il regista ora potrebbe denunciare a sua volta le sue accusatrici. Lo consente l’articolo 368 del Codice penale. È il reato di calunnia: “Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato è punito con la reclusione da due a sei anni”.

Vedremo se Brizzi lo farà o se preferirà mettere la parola fine alla vicenda. Ma di motivazioni il regista ne avrebbe parecchie, a partire dai contratti annullati, dal danno d’immagine subito e dall’indubbio stress al quale è stato sottoposto.

 

Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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