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Ergastolo e giudici di sorveglianza: che cosa ha cambiato la Consulta?

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Roma: uno scorcio del Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale

L’ergastolo cambia pelle? Stesso discorso per i giudici di sorveglianza? Con una recente sentenza la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha bacchettato l’Italia sul cosiddetto “ergastolo ostativo”, contrario alle norme internazionali sulla dignità e umanità della pena detentiva. E il 23 ottobre la Consulta ha depositato a sua volta una sentenza che rappresenta una importante novità.

Cos’è l’ergastolo ostativo

All’inizio era l’ergastolo, una pena detentiva a vita. Nella stragrande maggioranza dei casi interveniva dopo tre gradi di giudizio; e cioè col visto di non meno di una ventina di magistrati tra pubblici ministeri, giudici per le indagini preliminari, tribunali, corti d’appello e di cassazione. Ma neppure questo bastava a tener chiuse per sempre le porte delle celle. Anche agli ergastolani si applicava il regime premiale dei detenuti. Permessi premio, liberazione anticipata, semilibertà e affidamento in prova era compatibili con l’ergastolo, ovviamente a determinate e rigide condizioni. Per i casi più gravi nasce così l’ergastolo ostativo, col quale il detenuto non ha diritto ad alcuna misura premiale.

Sulla questione esistono due punti di vista contrapposti. I giustizialisti ritengono indispensabile mantenere l’ergastolo ostativo dato che l’Italia deve fare i conti con mafia, camorra e ‘ndrangheta; mentre i garantisti osservano che la nostra Costituzione prevede il fine rieducativo della pena, del tutto incompatibile con una pena a vita senza nessuna possibilità di modifica.

Il dictum della Consulta

La Corte Costituzionale ha depositato una sentenza che farà forse discutere, ma è perfettamente in linea con la nostra Carta Fondamentale. E possiamo dirlo, anche col buonsenso. Secondo la Consulta non deve esistere nessun automatismo, né favorevole al detenuto né contrario. Un condannato può essere pentito e dissociato dalla criminalità organizzata, ma teme, collaborando e facendo i nomi dei complici, che i suoi famigliari, magari già minacciati, siano in pericolo. Fino ad oggi, così, chi non collaborava fattivamente non poteva accedere a nessun beneficio.

Il magistrato di sorveglianza

Con questa recente sentenza, la Consulta consegna l’ultima parola ai magistrati di sorveglianza. Chi sono? Si tratta di un tipo di magistratura abbastanza particolare: il Tribunale di sorveglianza ha sede presso ogni Corte d’Appello, una per regione con qualche eccezione (la Valle d’Aosta fa capo a Torino; Bolzano ha la sua, distinta da quella di Trento perché bilingue; la Lombardia ne ha due, Milano e Brescia, come la Puglia, Bari e Lecce, e la Sicilia, Palermo e Catania).

Il Tribunale di sorveglianza, composto da un presidente e due magistrati, ma possono esserci più sezioni, decide per i casi più gravi e complessi. Per i permessi premio, per l’assegnazione degli arresti domiciliari o per altre misure premiali, decide invece il magistrato di sorveglianza. Collettivamente, partecipa alla composizione del tribunale, ma, individualmente, ha la responsabilità di due o tre istituti di pena, per cui ha sotto controllo circa un migliaio di detenuti.

Ergastolo: le novità

Ma, attenzione, abbiamo detto che la Consulta respinge ogni automatismo: nessun permesso premio facile per gli ergastolani di mafia e dintorni. Il magistrato di sorveglianza, prima di concederlo, dovrà sentire il parere della procura antimafia, degli educatori inseriti nei penitenziari, degli psicologi che periodicamente monitorano i detenuti. Se risulterà che il detenuto ha ancora rapporti o legami con il crimine organizzato, nessun percorso premiale. La differenza sta tutto in questo: deciderà un magistrato (specializzato in misure di sicurezza) di volta in volta. Senza limiti, ma appunto senza alcun automatismo.

Non siamo ancora in grado di conoscere la sentenza per esteso, ma il comunicato della Consulta è molto chiaro: “La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata”.

Perché “Consulta”?

Infine, la risposta a curiosità: perché spesso la Corte Costituzionale è chiamata Consulta? Perché il palazzo, che si apre a Roma in piazza del Quirinale, proprio di fronte a quello della Presidenza della Repubblica, ai tempi del potere temporale dei papi ospitava la Sacra Consulta, magistratura civile e penale dello Stato della Chiesa.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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