Fini a processo. L’ex leader di An, ex presidente della Camera ed ex ministro degli Esteri non l’ha scampata. Elvira Tamburelli, Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma l’ha rinviato a giudizio: l’accusa è di riciclaggio. Con Gianfranco Fini, sul banco degli imputati ci saranno anche la moglie Elisabetta, il suocero Sergio Tulliani e il cognato Giancarlo. Sempre che quest’ultimo, fratello minore di Elisabetta e ancora latitante a Dubai, venga riportato in Italia. Il Gup capitolino ha dunque accolto le richieste del procuratore della Dda (Direzione distrettuale antimafia) Michele Prestipino e del pubblico ministero Barbara Sergenti. Oltre a Fini e ai suoi familiari sono stati rinviati a giudizio anche “il re delle slot” Francesco Corallo e l’ex parlamentare del Pdl Amedeo Laboccetta.
La casa di Monte Carlo
Tutto nasce dalla famosa casa nel Principato di Monaco. L’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte 14, era stato donato al partito di Fini da una sostenitrice di An, la contessa Colleoni (1999). L’immobile veniva venduto successivamente (2008) a un prezzo bassissimo: 330mila euro. I compratori erano la Printemps e la Timara, società off-shore riconducibili al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani, e alla sorella Elisabetta. Un vero affare, per i magistrati fatto però con i soldi provenienti dal mancato pagamento delle imposte sul gioco online e video-lottery. Un’attività illecita che coinvolgeva Corallo, in affari con Tulliani. Il cognato di Fini ha poi rivenduto la casa del Principato a circa 1,4 milioni (2015).
Le giravolte di Fini
Quando la notizia balza all’onore delle cronache, l’ex presidente della Camera si chiama fuori. “O sono stato talmente fesso oppure ho mentito volutamente. Sarò stato un coglione, ma non sono mai stato un corrotto”. La vicenda però nel giro di qualche mese prende una brutta piega. E si trasforma in un caso di riciclaggio internazionale da 200 milioni di euro, legato appunto alle concessioni per le slot machine.
Ma Fini resiste. Il 14 dicembre 2016, al Fatto Quotidiano che gli aveva domandato se sapeva che la casa di Montecarlo era di sua moglie, quasi ironizzava: “Addirittura è di mia moglie, nemmeno del fratello Giancarlo, è sicuro?”.
Tuttavia, un anno dopo, davanti ai magistrati avrebbe cambiato versione. “Elisabetta mi ha confessato solo recentemente che insieme al fratello Giancarlo, nel 2008, avevano deciso di comprare la casa di Montecarlo. Non l’ho riferito nel primo interrogatorio, per timore delle ripercussioni laceranti che tali affermazioni avrebbero potuto causare nel mio ambito familiare. Soprattutto con riferimento alle mie figlie. Oggi però sono convinto che per affermare la mia onorabilità devo prescindere dalle mie vicende familiari, per quanto dolorose”.
Parenti serpenti
In più, l’ex ministro degli Esteri avrebbe dichiarato: “Se io avessi avuto, nel 2008, il minimo sospetto che dietro le società Printemps e Timara ci fossero stati i due fratelli Tulliani, mai avrei autorizzato la vendita. Solo dopo, leggendo le carte dell’indagine, ho capito l’insistenza a conoscere circostanze relative alla vendita dell’appartamento. Ricordo con certezza che Giancarlo Tulliani, che già frequentava Montecarlo, mi chiese con insistenza se fosse vero che An aveva un appartamento lì, se l’appartamento fosse in vendita, affermando che c’era una società interessata all’ acquisto. Non escludo che anche Elisabetta Tulliani mi abbia fatto qualche domanda al riguardo, ma francamente non lo ricordo. Qualora lo abbia fatto, gli avrò risposto. Ma non presi certo io l’iniziativa di segnalare l’esistenza dell’appartamento, né la possibilità di una vendita”.
Giudizio durissimo
Insomma, L’ex leader di An avrebbe ammesso di aver mentito alla Procura, scaricando anche Elisabetta, dopo aver preso le distanze dal cognato. Ma secondo Laboccetta, Fini sarebbe tutt’altro che uno sprovveduto. Ai magistrati capitolini l‘ex fedelissimo lo avrebbe dipinto come uno “scroccone, spregiudicato e inaffidabile”. E avrebbe raccontato che Fini, all’epoca presidente della Camera, sponsorizzava l’attività immobiliare del cognato Tulliani, facendo pesare ruolo politico e istituzionale.
La parola adesso passa ai giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Roma, che dovranno decidere se Fini è colpevole di riciclaggio insieme con i Tulliani. L’appuntamento è per il prossimo 30 novembre, quando si aprirà un processo che di certo riserverà molti colpi di scena.
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