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Mario sì, Mario no: e se Draghi si presentasse alle prossime elezioni?

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Governo Draghi al capolinea. Dopo una serie di giornate convulse, ieri la crisi annunciata ha preso forma nell’aula del Senato. Comincia il premier in mattinata con un discorso molto duro e che non concede sconti né alle confuse truppe di Giuseppe Conte né alla Lega di Matteo Salvini. L’ex governatore della Bce marcia senza deflettere: il suo programma è questo, prendere o lasciare.

Nel corso della giornata si intrecciano mille voci: il centrodestra di governo – Lega, Forza Italia, Noi con l’Italia (Lupi) e Unione di Centro (Cesa) – propone la formazione di un nuovo esecutivo; sempre presieduto da Mario Draghi, con l’esclusione dei 5 Stelle che, a dirla tutta, si erano già autoesclusi dalla maggioranza anche se tra mille distinguo e duemila mal di pancia.

Solo in 95

Il presidente del Consiglio non ci sta: o si prosegue tutti assieme o lui lascia. Ad un certo punto si palesa un ordine del giorno a firma del senatore Pierferdinando Casini (Gruppo misto) che propone una sorta di voto di fiducia a Draghi. Dopo molte interruzioni, dialoghi rubati nei corridoi di palazzo Madama, lanci di agenzia, in serata l’ordine del giorno Casini viene approvato dal Senato.

Peccato che i voti che raccoglie siano solo 95: la maggior parte dei senatori non ha votato ma restando in aula; dunque Draghi è rimasto con una maggioranza formata solo dal Pd e da Italia Viva di Matteo Renzi, oltre ai seguaci di Luigi Di Maio e pochi altri a titolo personale. Abbandonata da 5 Stelle, Lega e Forza Italia, la maggioranza più vasta di sempre si è squagliata come un ghiacciolo al sole. Draghi, che doveva salire al Quirinale già ieri sera, probabilmente si dimetterà stamattina alla Camera, per poi andare al Colle.

Urne inevitabili…

A pochi mesi dalla fine della XVIII legislatura, che doveva terminare nel marzo 2023, sembra difficile evitare lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate. Anzi, sembra proprio che il presidente Sergio Mattarella non abbia nessuna intenzione di ricercare una quarta formula magica consecutiva (dopo il Governo gialloverde o Conte 1, quello giallorosso o Conte 2, e l’unità nazionale con Draghi); così facilmente ci manderà tutti a votare. Prima data utile? Il 2 ottobre. Dunque, campagna elettorale in settembre dopo la pausa estiva.

I limiti del centrodestra 

E allora, invece di piangere (o esultare a seconda delle opinioni) sulla caduta di Draghi, che secondo noi è la persona più soddisfatta dell’accaduto, proviamo a ragionare sul futuro. Tutti i sondaggi danno il centrodestra come vincente. E qui iniziano già i primi dolori: fino a ieri l’accordo non scritto era che in caso di vittoria avrebbe governato il leader più votato. Ora che quella con più consensi sembra essere Giorgia Meloni, agli altri due, Silvio Berlusconi e Salvini, non va più bene. Tanto che stanno pensando di consorziare Lega e Forza Italia per riuscire a superare Fratelli d’Italia.

Il che significa – anche in caso di vittoria del centrodestra – che i tre continueranno a litigare. Non solo. La vedete Giorgia Meloni andare col cappello in mano da Ursula von der Leyen a chiedere uno sforamento di bilancio? La vedete trattare in Europa? Una scappatoia potrebbe essere un passo indietro di Giorgia the winner che lascia la premiership a Guido Crosetto o a Giulio Tremonti. Ma vi sembra il tipo che si mette a fare la “madre nobile” a 45 anni?

E il campo largo?

Dall’altra parte naufraga il “campo largo” di Enrico Letta che non potrà certamente più associarsi ai 5 Stelle dopo lo strappo di oggi. E da solo (possiamo già escludere, per fatto personale, una eventuale alleanza con Carlo Calenda o con Renzi) il Partito democratico dovrà riassaggiare, dopo qualche decennio, l’amaro calice dell’opposizione.

E Conte? Per la maggior parte degli Italiani e degli stranieri che contano, il capo dei 5 Stelle ha cercato visibilità negli ultimi mesi della legislatura al solo fine di riuscire a ribaltare la tendenza al ribasso che attanaglia il Movimento da alcuni anni. Secondo alcuni, addirittura, Conte è caduto nella trappola tesa da Draghi che voleva a tutti i costi lasciare palazzo Chigi; e ha deciso di farlo, indispettendo ancora una volta i seguaci di Beppe Grillo.

La discesa di Draghi

L’ormai ex premier potrebbe candidarsi alle prossime elezioni? Premettiamo che Draghi non ha le stigmate del capopopolo; e anche se ieri ha sottolineato che era in Parlamento su richiesta degli italiani, non lo vedremmo facilmente su un palco da comizio. Nel caso, con chi potrebbe candidarsi, forte di tante simpatie anche internazionali? Con Di Maio o con Renzi? Creando un suo partito come Mario Monti? Oppure accettando un’investitura in primis dal Pd a capo di un rassemblement progressista, richiamandosi un po’ all’Ulivo di prodiana memoria e nel tentativo di emulare la prima cavalcata vittoriosa di Emmanuel Macron nel 2017 con En Marche?

Mai dire mai, soprattutto dopo i ceffoni presi dal centrodestra di Berlusconi e Salvini… Ma d’altro canto sappiamo che l’ex governatore della Bce e di Bankitalia aveva accettato di entrare a palazzo Chigi solo perché Mattarella gli aveva fatto balenare la possibilità di una sua successione al Quirinale. Se questo non è accaduto, Draghi ora forse non guarda tanto a un futuro da capo politico ma piuttosto a una eventuale successione della von der Leyen a Bruxelles oppure di Jens Stoltenberg alla guida della Nato. Oppure a godersi la meritata pensione in Umbria, a Città della Pieve, accanto alla moglie Maria Serenella, circondato dai nipotini. Si era o non si era definito “nonno d’Italia”? Accontentiamolo, allora. Tenendolo – novello Cincinnato – come una preziosa riserva della Repubblica. Da far intervenire quando la barca andrà nei pali. Cosa che è più certa che probabile, fin dal prossimo autunno.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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