Papa Francesco è incorso nell’ennesima incomprensione con i proprietari di animali domestici. Non si placa l’eco delle polemiche per le parole del Pontefice, rivolte, secondo la sua stessa ricostruzione dei fatti, ad una signora che gli aveva domandato di benedirle il cane, che gli aveva porto presentandolo come “il suo bambino”.
La vicenda ha prodotto un’attenzione tutto sommato spropositata, soprattutto perché appuntata sulla materialità dell’episodio. In rete, si possono trovare le ricerche effettuate per individuare e interpellare la possibile protagonista dello scambio controverso di battute con il Papa. Diciamo possibile protagonista, perché sono migliaia e migliaia le persone che sempre avvicinano il Pontefice e ne sono avvicinate, in occasione delle udienze pubbliche e dei viaggi. Vai a sapere a quale persona si riferiva esattamente Francesco quando, agli Stati generali della natalità, lo scorso 12 maggio, ha raccontato di avere risposto spazientito, sgridandola: “Signora, tanti bambini hanno fame e lei col cagnolino…”. Il riferimento ai bambini non era casuale, perché, domandando la benedizione per il pelosetto, la donna lo aveva chiamato, come detto, “il mio bambino”.
Come sempre, conviene guardare la luna, anziché il dito. Il Papa non ce l’ha con gli animali, né con i loro padroni. Francesco dice: per favore, non facciamo confusione tra uomini e animali. E non illudiamoci di surrogare i primi con i secondi. Altrimenti, poi, sarebbe inutile lamentarsi anche soltanto della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione.
Pillole di etica animale
Per raccapezzarci in questa questione, dobbiamo sforzarci di elevare il livello della nostra riflessione, sia in termini di linguaggio, sia in termini di contenuti. Battute del tipo: “Chi non vuole bene agli animali non ne vuole neanche ai bambini”, non accrescono minimamente la nostra consapevolezza.
Possiamo identificare il tema con l’etica animale. L’etica è la riflessione filosofica sulle norme e i valori osservati da un gruppo sociale, cioè quella che chiamiamo la morale. Punto di partenza dell’etica animale è il superamento, ormai culturalmente consolidato in Occidente, dell’antropocentrismo in accezione dispotica, nel senso, cioè, di dominazione arbitraria da parte dell’uomo sugli altri viventi e la natura in generale. L’essere umano è libero e, perciò, responsabile: è questa la sua nota caratteristica, che fonda la sua effettiva preminenza rispetto agli altri esseri viventi. Per questo, l’uomo non è né nient’altro che un animale, né tutt’altro che un animale: l’uomo è un essere morale.
Cosa gliene deriva, nei suoi rapporti con gli animali? L’uomo è responsabile per gli animali, benché non lo sia di fronte ad essi. È chiamato ad essere giusto anche con gli altri viventi, non solo nei rapporti con i suoi simili. L’essere umano ha dei doveri verso se stesso e, prima ancora (se credente), verso Dio, anche attraverso gli animali. Diciamo che l’esigenza etica minima, nelle relazioni con gli animali, è costituita per l’uomo dall’astensione da quanto causerebbe loro delle sofferenze gratuite.
Dignità e valore
Siccome l’uomo non ha, come detto, doveri verso gli animali, ne consegue che gli animali non sono soggetti di diritti, semmai di esperienze e sensazioni. Essi, nondimeno, hanno una dignità e un valore loro propri, riconoscibili e oggi ampiamente riconosciuti. Ciò, peraltro, vale, sia pure in misura proporzionalmente attenuata, anche per gli altri viventi non-umani.
L’essenziale è lasciare che l’uomo sia l’uomo e l’animale sia l’animale. Volenti o nolenti, c’è tra i due una differenza di natura e di valore. Consiste in questo riconoscimento la sostanza del rispetto della natura, cioè della biodiversità e anche l’autentica simpatia per gli animali. Tentare di elevare l’animale a persona non significa solo – e sarebbe già gravissimo! – degradare l’uomo, ma anche mancare del rispetto dovuto alla specificità (vale a dire, la diversità) della vita animale. La relazione si dà tra diversi, l’omologazione (oltre ad essere di per sé illecita) la renderebbe impossibile.
Il senso cristiano della creazione
Dal punto di vista del credente cristiano, sin dall’Antico o Primo Testamento la partecipazione degli animali al piano salvifico divino sul cosmo è chiaramente attestata (Gn 6-9). L’animale è con-creatura: ecco qual è il legame che lo avvince all’uomo. Uomini e animali formano una comunità di destino, poetizzata proprio dall’epopea dell’arca di Noè. Anche la vita non-umana, che Dio, amandola, ha chiamato ad esistere, resta e non va perduta. Il cristiano nutre la fondata speranza che pure gli animali siano accolti, in forme adeguate (ma che restano a noi rigorosamente sconosciute), nella vita rinnovata da Dio. Per il Nuovo Testamento, ricordiamo solo la mirabile sintesi paolina di Rm 8, 19-22, nella quale viene illustrata la sofferenza dell’intera creazione, nell’attesa del “tempo nuovo” di Dio e del suo Cristo.
Tornando a Papa Francesco, anch’egli ci ha dispensato un efficace riassunto del senso cristiano delle relazioni tra viventi: “L’essere umano, dotato di intelligenza e di amore e attratto dalla pienezza di Cristo, è chiamato a ricondurre tutte le creature al loro Creatore” (Enciclica Laudato si’, n.83).
Il vero umanesimo
Al netto della forma ricercatamente approssimativa (ossimoro voluto) e vagamente ruvida, con cui con una certa frequenza il Pontefice si esprime su questi temi, Francesco delinea un magistero cattolico fondamentalmente chiaro e, proprio per questo, apertamente osteggiato nell’Occidente sempre meno cristiano. Per il Papa e la Chiesa cattolica, le società del consumo e del benessere si inaridiscono e decadono proprio ossequiando una nuova ideologia, dalle forme apparentemente non ben definite, ma certo, per quanto paradossalmente, saldamente anti-umanistica.
Che si tratti di una sorta di idolatria ambientalista, ovvero di una specie di animalismo snaturato, il punto dolente è l’oblio dell’antropocentrismo, tanto cristiano quanto classico. Ripetiamo che è stato opportuno prendere congedo dall’umanesimo dispotico ed è bene guardarsi dal tornare a farsene tentare. Abiurare l’umanesimo in quanto tale, invece, è estremamente pericoloso. Del resto, anche il grande tema dell’intelligenza artificiale minaccia una deriva post-umana, nella quale noi umani avremmo, evidentemente, tutto da perdere.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.