Scienza

Viaggiare nel tempo: è proprio giunta l’ora?

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Viaggiare nel tempo è sempre stato considerato un argomento da racconti di fantascienza o di magia. La Scienza però non rifiuta di considerare simili ipotesi. La Relatività Generale per esempio ci dice che per diversi “osservatori” il tempo può scorrere in modo diverso. O può addirittura fermarsi, se uno di essi viaggia a una velocità uguale a quella della luce. Mancano però evidenze sulla possibilità di invertire lo scorrere del tempo con le conoscenze attuali.

Ci si interroga anche sulla concomitante necessità, in caso i viaggi nel tempo diventassero possibili, di dover viaggiare anche nello spazio su grandi distanze. Sarebbe infatti spiacevole tornare indietro nel tempo di sei mesi e scoprirsi a soffocare nel vuoto cosmico perché la Terra si trova in quel momento dalla parte opposta del Sole.

Primo viaggio nel tempo

In questi giorni spopola in rete la notizia che un team internazionale composto da scienziati russi, americani e svizzeri sia riuscito per la prima volta a viaggiare nel tempo, quantomeno su scala microscopica. Non è stata quindi costruita la DeLorean del film Ritorno al futuro. Ma la pubblicazione dello studio sulla prestigiosa rivista Scientific Reports impone di non sottovalutare questa ricerca.

Nonostante molti articoli riportino la notizia come “primo viaggio nel tempo nel mondo quantistico”, su questo occorre fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto nessuna persona, computer o particella elementare è realmente tornata indietro nel tempo. Lo studio riporta infatti sostanzialmente l’esito di una simulazione.

Tuttavia, non si tratta di una simulazione qualunque, poiché è stata eseguita su un computer quantistico, oltre a riguardare la possibilità di infrangere temporaneamente il Secondo Principio della Termodinamica.
Per provare a capire in modo intuitivo ciò che è stato fatto, prima di tutto occorre introdurre alcuni concetti di base della Fisica. Cerchiamo di farlo nel modo più semplice possibile.

Viaggiare nel tempo: Schrödinger e Boltzmann 

Immaginiamo di mettere un bambino da solo al centro di una grande stanza vuota e di uscire immediatamente dalla porta. Appena chiusa la porta il piccolo sarà certamente lì dove lo abbiamo visto accompagnando l’uscio. Certo dopo un secondo forse si sarà mosso, anche se difficilmente sarà già arrivato in così poco tempo ai bordi della stanza. Via via che il tempo scorre sarà sempre più probabile che il bambino sia lontano dalla sua posizione iniziale, ma avremo sempre meno idea di dove egli sia. Da un punto di vista probabilistico potremo dire che il bambino è in ogni punto della stanza con una certa probabilità.

In modo analogo l’equazione di Schrödinger può descrivere l’evoluzione temporale delle possibili posizioni occupate da una particella come un elettrone con lo scorrere del tempo. Mentre al tempo zero questa sarà dove l’abbiamo vista, successivamente lo spazio delle possibili posizioni occupate sarà sempre più ampio. Questa funzione delle possibili posizioni occupate purtroppo non tornerà mai indietro a confinarsi in uno spazio ristretto.

Ciò è dovuto al fatto che – come suggeriscono l’equazione di Boltzmann e il Secondo Principio della Termodinamica – la natura evolve sempre spontaneamente verso un disordine da cui è impossibile tornare indietro completamente. La probabilità quindi di aprire la porta e ritrovare il nostro bambino ancora in piedi, fermo al centro della stanza, è pressoché nulla. Solo tornando indietro nel tempo saremmo certi di trovarlo lì.

Viaggiare nel tempo: qubit e computer quantistici

Cambiando completamente argomento, focalizziamoci ora sul secondo ingrediente della ricerca pubblicata su Scientific Reports, e cioè il mondo quantistico. Un classico computer, tablet o smartphone contiene dati codificati in logica binaria tramite combinazioni di “zero” e “uno”. Questi sono noti come “bit” e sono determinati per esempio da tensioni o correnti.

Un computer quantistico invece sfrutta fenomeni “quantistici” per la memorizzazione e l’elaborazione dell’informazione come il verso di rotazione di un elettrone (ovvero la più piccola unità in cui si può suddividere la carica elettrica) o la polarizzazione orizzontale o verticale di un fotone (ovvero la più piccola unità in cui si può suddividere la luce). Si dice infatti che carica elettrica e luce sono “quantizzate” per evidenziare che non possono essere divise all’infinito. Prendendone quindi quantità sempre più piccole si arriva prima o poi all’unità minima (il “quanto” appunto).

Questi “supercomputer” sono oggi ancora in fase embrionale, visto che se ne stanno ancora sviluppando alcuni componenti di base. Domani tuttavia i computer quantistici potrebbero essere molto più veloci dei computer tradizionali, permettendo di aprire un’infinità di nuovi scenari ora impensabili.

Davvero un viaggio nel tempo?

Proviamo dunque a fare un po’ di ordine sul lavoro appena pubblicato. Come si diceva si tratta in sostanza di una simulazione, interessante perché realizzata su un computer quantistico e quindi la prima nel suo genere. L’equazione di  Schrödinger, come strumento matematico, può essere invertita per simulare come, tornando indietro nel tempo, la posizione dell’elettrone tenda a ritornare in quella originale.

Vedremo quindi il bambino tornare verso il centro della stanza percorrendo a ritroso il suo originale tragitto. Come fosse un viaggio nel tempo, ma questo non significa davvero viaggiare nel tempo. Lo avremo solo simulato. È come fare girare la pellicola di un film al contrario.

Viaggi spontanei nel tempo 

Tuttavia cose simili possono anche accadere in natura, seppure con bassissime probabilità. Conti alla mano i ricercatori hanno stimato che, in determinate condizioni di campo elettromagnetico, un elettrone con l’avanzare del tempo potrebbe tendere a confinare le possibili posizioni occupate anziché espanderle. Dal punto di vista termodinamico questo rappresenterebbe una “violazione”, in quanto, come detto, la natura evolve verso il disordine e non verso l’ordine.

Si potrebbe quindi spiegare il fenomeno come un viaggio nel tempo. Come se la nostra scrivania tornasse in ordine da sola senza fare nulla dopo un mese che ci lavoriamo mettendola senza volere in disordine. La probabilità che accada spontaneamente? È stata calcolata da questi studiosi per un singolo elettrone. Dovremmo osservare per quasi 14 miliardi di anni (l’età dell’universo!) 10 miliardi di elettroni al secondo per trovarne uno solo che abbia compiuto questo viaggio. Viaggio nel tempo che sarebbe solo di poche decine di picosecondi (meno di un miliardesimo di secondo).

Per far tornare indietro nel tempo la nostra scrivania, gli elettroni che dovrebbero all’unisono tornare indietro sono tantissimi e non più uno solo. E tornare a pochi picosecondi prima, spesso e volentieri non avrebbe un effetto apprezzabile. Da qui l’impossibilità di osservare fenomeni di questo tipo, seppur teoricamente possibili.

Viaggiare nel tempo: simulazioni quantistiche

I computer quantistici non sono ancora in grado di effettuare grandi calcoli. I ricercatori di questo studio hanno quindi potuto utilizzare solo 2 o 3 qubit. Per simulare il viaggio a ritroso hanno quindi inizialmente definito lo stato dei qubit. Operando sui qubit, ne hanno poi variato lo stato e, dopo un certo numero di trasformazioni, hanno “invertito la freccia del tempo” per ripercorrere al contrario gli stati occupati fino a tornare al valore originale.

A causa degli errori a cui sono ancora soggetti i computer quantistici, solo nel 50% dei casi è stato possibile ripristinare lo stato iniziale operando con 3 qubit. Con 2 il tasso di successo è salito all’85%. Una differenza che si spiega proprio con gli errori dei computer quantistici provocati dal loro stadio embrionale di sviluppo.

L’interesse della ricerca pubblicata in questo articolo di Scientific Reports non è quindi da cercare nella possibilità che essa ci faccia avvicinare un po’ di più alla possibilità di viaggiare nel tempo; ma come possibile algoritmo di test per programmi di elaborazione dati applicati a computer quantistici. Con la prospettiva un giorno di essere in grado di tornare indietro dopo un certo numero di operazioni svolte per correggere gli eventuali errori di calcolo accumulati.

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Alberto Dalla Mora è professore associato del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano. Ha al suo attivo più di 80 pubblicazioni scientifiche di livello internazionale ed è coautore di oltre 100 presentazioni a conferenze. Ha diverse collaborazioni a progetti di ricerca finanziati dall'Unione europea nell’ambito della fotonica.

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