L’utero artificiale per aumentare le speranze di vita dei bambini nati molto prematuramente è da decenni un sacro Graal della ricerca medica. I progressi nella terapia intensiva neonatale hanno fortunatamente abbassato a circa 23 settimane di gestazione il limite della possibilità di sopravvivenza. Purtroppo però, al di sotto della 28a settimana, tale sopravvivenza si ottiene spesso con gravi conseguenze derivanti dal non completo sviluppo degli organi del feto. In particolare di cuore e polmoni.
La scoperta di Philadelphia
Ma una ricerca pubblicata il 25 aprile scorso nella rivista scientifica Nature Communication dimostra come potenzialmente questo scenario possa cambiare negli anni a venire. Il risultato è di un gruppo di ricercatori del Children’s Hospital of Philadelphia. Si tratta di un apparato in cui il feto potrebbe prolungare artificialmente la durata della gestazione. L’idea è stata dimostrata su un agnellino prelevato prematuramente dal grembo materno.
La mortalità nei prematuri
Le ricerche condotte sugli Stati Uniti hanno mostrato che nel Paese americano ogni anno nascono migliaia di bambini estremamente prematuri, ovvero prima della 28a settimana di gestazione. Di quelli nati alla 23a settimana solo il 30% sopravvive, ma come dicevamo con gravi conseguenze polmonari o cardiache derivanti dagli stessi trattamenti ospedalieri. La respirazione forzata ad esempio risulta troppo innaturale per i polmoni non sviluppati di un prematuro. E c’è anche una cattiva risposta cardiaca per il sovraccarico dei sistemi di circolazione e ventilazione esterna. L’invenzione di un utero artificiale che consenta un trattamento più naturale quindi è da sempre un’urgenza del settore. Sono almeno 50 anni che si studiano tecniche per prolungare in modo più naturale lo sviluppo di questi bambini. In particolare cercando di realizzare una placenta artificiale. Ma finora, se si salva loro la vita al contempo si producono danni irreparabili.
Risultato straordinario
Ecco perché il risultato dei ricercatori di Philadelphia ha una valenza straordinaria. La dimostrazione della possibilità di prolungare artificialmente la gestazione è stata condotta su un agnellino prelevato dall’utero materno al 107° giorno di gestazione (equivalente alla 23a settimana per l’uomo). Il feto è stato tenuto nell’utero artificiale per 28 giorni, aumentandone sensibilmente la crescita. I dati mostrano come non siano riscontrabili anomalie di sviluppo o disordini fisiologici. In un arco temporale da 3 a 5 anni, stima uno degli autori, la tecnica potrebbe essere sperimentata sull’uomo.
La ricetta del successo
Tre le innovazioni che hanno ora condotto al successo il team di ricercatori su questo tipo di utero artificiale. Primo: un circuito arterio-venoso privo di sistemi di pompaggio forzato, riducendo il rischio di sovraccarico cardiaco. Secondo: un ambiente chiuso e pieno di fluido in cui è immerso il feto, riducendo il rischio di esposizione a infezioni. Terzo: una nuova tecnica di accesso vascolare ombelicale, al momento particolarmente complessa e non realizzabile se non in alcuni specifici ospedali attrezzati. A causa di quest’ultimo ostacolo tecnico solo bambini pre-termine nati chirurgicamente potrebbero proseguire il loro sviluppo nell’utero artificiale. L’accesso ombelicale deve infatti essere effettuato mentre il bambino è ancora attaccato al cordone materno. La percentuale dei bambini estremamente prematuri nati chirurgicamente è comunque rilevante, trattandosi di circa il 50% del totale.
Non vita artificiale, ma speranza
Lo stesso autore avverte che la tecnica non sarebbe applicabile a feti prelevati dall’utero materno prima della 23a settimana. Questo a causa di ostacoli sia tecnici che biologici. Non c’è quindi il rischio di creare con questa ricerca dei grembi materni artificiali in cui generare la vita. Essa dunque non va intesa come una minaccia etica. Si tratta bensì dell’invenzione di un sistema di supporto vitale mirato al recupero di speranza di vita per bambini prematuri. Del tutto paragonabile ai sistemi di supporto vitali usati su adulti nei reparti di terapia intensiva, idonei in tal caso allo stato di sviluppo dell’adulto. Il bambino molto prematuro invece necessita di trattamenti più naturali dei sistemi di circolazione extracorporea o ventilazione forzata. La scienza sta spingendo la medicina ad essere sempre più vicina ai bisogni dei più deboli. Così facendo accende speranze dove prima c’era tanto dolore.
Alberto Dalla Mora è professore associato del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano. Ha al suo attivo più di 80 pubblicazioni scientifiche di livello internazionale ed è coautore di oltre 100 presentazioni a conferenze. Ha diverse collaborazioni a progetti di ricerca finanziati dall'Unione europea nell’ambito della fotonica.