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Corea del Nord: la Cia non promette nulla di buono

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Corea del Nord: adesso ci si mette anche la Cia a soffiare sul fuoco dello scontro tra Donald Trump e Kim Jong-un. Mike Pompeo, il capo degli 007 americani, davanti alla Foundation for Defense of Democracies di Washington ha affermato l’altro giorno che la Cia ha una convinzione. Kim è a pochi mesi dall’avere un missile nucleare capace di colpire gli Stati Uniti. Non importa più sapere quale sarebbe il giorno esatto. “Sono sul punto di riuscirci, ormai è irrilevante sapere se succederà domani o tra un mese. Il presidente Trump ha concluso che dobbiamo fare uno sforzo perché non abbia quella capacità“.

Il futuro di Kim

È ovvio e auspicabile, ha aggiunto Pompeo, che sarebbe meglio fermare Kim con un negoziato. Ma non c’è da contarci troppo. Secondo Trump, anzi, sarebbe solo una perdita di tempo. In più, Pompeo ha aggiunto che se Kim dovesse morire all’improvviso “vista la storia della Cia, meglio non parlarne… qualcuno potrebbe pensare a una coincidenza”. Tra l’altro, già nel mese di luglio il capo dell’intelligence americana aveva affermato che “bisogna separare il regime dalle sue armi di distruzione di massa“. Come va interpretata quest’affermazione? È il preannuncio del tentativo di eliminare il dittatore nordcoreano?

Corea del Nord: le critiche dell’ex

L’ultimo a scendere in campo è stato James Clapper, l’ex numero uno della Cia. In una intervista alla Cnn si è detto preoccupato per lo scoppio di “una possibile guerra mondiale“. E ha criticato l’atteggiamento del presidente Trump. A suo giudizio, rischia di provocare la goccia che farà traboccare il vaso, generando una inevitabile reazione da parte del regime di Kim. Di cosa parla? Anche se non li ha citati direttamente, molto probabilmente dei famosi bombardieri B52, armati con testate nucleari. Com’è noto Trump ha deciso che vengano dispiegati in modo da poter decollare in ogni momento, se necessario anche entro 24 ore, con gli equipaggi posti in stato di emergenza in una base dell’Air Force in Louisiana. E per l’immaginario collettivo dei nordcoreani non esiste nulla di peggio dei B52.

Corea del Nord: l’incubo dei B52

Queste super fortezze volanti erano dormienti dal lontano 1991, anno della guerra del Golfo. I giganteschi bombardieri (apertura alare 56 metri, lunghezza 49) furono impiegati in modo massiccio nella guerra di Corea del 1950. In tre anni sganciarono sulla Corea più bombe che sulla Germania nazista o sul Giappone durante tutta la Seconda guerra mondiale. E poi ancora in modo massiccio sul Vietnam. Da molti sono ritenuti ormai dei dinosauri nell’era delle super tecnologie. E allora che senso ha rispolverarli? Si tratta di una mossa psicologicaminacciare con i B52 la Corea del Nord è come sventolare un drappo rosso davanti a un toro.

Gli americani di Seul

Ma secondo altri osservatori va ricordato che in Corea del Sud vivono attualmente 100mila civili americani. In gran parte sono a Seul. E potenzialmente la capitale sudcoreana è sotto il tiro dell’artiglieria di Kim. Prima di un attacco americano, sarebbe dunque opportuna una massiccia evacuazione. Ma ad oggi non ce n’è nemmeno l’ombra. Nel gergo dell’intelligence l’evacuazione fa parte di quelle che si chiamano I&W. E le “Indications and Warnings” sono le procedure che segnalano l’imminenza di un attacco.

Segnali di guerra

Quindi non è sufficiente l’allerta dei B52. Se invece oltre all’evacuazione dei civili americani, venissero congelate le licenze ai soldati, marinai e marines Usa, fossero richiamati i riservisti della Guardia nazionale e si dovesse assistere all’arrivo di tre portaerei nella zona delle operazioni, vorrebbe dire che la parola passa alle armi. Senza dimenticare che prima Trump dovrebbe trovare un accordo con Pechino. La Cina di Xi Jinping, non potrebbe assistere all’aggressione del suo alleato senza reagire. A meno che il dittatore nordcoreano non tiri il grilletto per primo.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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