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Giallo in Vaticano: Papa Francesco s’è tolto il titolo di vicario di Cristo?

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Papa Francesco vuole lasciar cadere in disuso il titolo di “vicario di Cristo”? Potrebbe sembrare, stando all’Annuario Pontificio 2020. Il ridimensionamento formale, che proveremo ad interpretare, difficilmente può essere casuale in un contesto come questo.

L’Annuario, infatti, è la divisa statistica ufficiale della Santa Sede e della Chiesa cattolica. Pubblicato a cura della Segreteria di Stato ed edito dalla Libreria Editrice Vaticana, è una tradizione ecclesiastica dal XVIII secolo. Sotto questo nome viene pubblicato dal 1912.

L’opzione fatta nell’Annuario e relativa ai titoli rivela, a nostro parere, un’attitudine originaria e permanente di Papa Francesco, resa nota sin dalla sua presentazione al popolo dopo l’elezione. Per cercare di capire meglio di cosa si tratta converrà anche ricostruire la genesi storica di un titolo così particolare, qual è all’evidenza quello di “vicario di Cristo”. Condivideremo infine una riflessione, possibilmente non all’insegna delle passioni accese, che di solito oppongono conservatori e progressisti in ambito ecclesiale.

Si volta pagina

L’Annuario, che contiene informazioni su tutta la Chiesa (Curia romana e Collegio cardinalizio, nunziature, diocesi, conferenze episcopali, congregazioni religiose, e così via) propone un’esposizione piramidale decrescente della gerarchia cattolica. Comincia dunque dal vertice, che è il Papa. Fino all’anno scorso, sotto al nome pontificale e al titolo di vescovo di Roma, seguiva immediatamente la serie degli altri appellativi di cui egli si fregia.

Partendo da “vicario di Gesù Cristo” e concludendo con “servo dei servi di Dio”. Passando per: successore del Principe degli Apostoli; sommo pontefice della Chiesa universale; primate d’Italia; arcivescovo e metropolita della provincia romana; sovrano dello Stato della Città del Vaticano. Dal 2006 Benedetto XVI ha escluso dall’elenco la qualifica di “patriarca d’Occidente”, adducendo sia ragioni storico-giuridiche sia motivazioni ecumeniche.

L’edizione 2020 dell’Annuario mantiene i titoli in uso da secoli, però con una specifica. Essi sono tipograficamente distanziati dal nome Francesco e dalla qualifica di vescovo di Roma, con uno scarto di pagina. E recano in testa la rubrica “Titoli storici”. Tra tutti, quello che è andato incontro alla maggior decurtazione nel rilievo è proprio “vicario di Gesù Cristo”.

Infatti, in precedenza era il primo della serie e aveva le stesse dimensioni del nome al secolo del Papa. Oggi passa come gli altri – eccettuato l’episcopato romano – nel novero delle denominazioni storiche. I titoli, insomma, non sono stati soppressi e ci mancherebbe: vi è compreso anche quello di Pontefice! Ma la loro classificazione come storici ha destato perplessità.

Anticipando un tema su cui torneremo in conclusione, ricordiamo come si presentò al mondo Jorge Mario Bergoglio subito dopo l’elezione, la sera del 13 marzo 2013. Disse che il dovere del Conclave era dare il vescovo a Roma. Per poi aggiungere che a cominciare in quel momento era il cammino della Chiesa di Roma col suo nuovo vescovo.

Dai vicari al vicario

Soffermiamoci brevemente sull’origine storica e sul significato dell’espressione “vicario di Cristo”, cominciando da una premessa di semplice buonsenso. Il Papa è vicario di Gesù nella sollecitudine spirituale e pastorale verso gli appartenenti alla Chiesa. L’espressione in parola non può certo far balenare la legittimità di qualche forma di pseudo-divinizzazione del Papa. Spazzato il campo da equivoci possibili oggi più che altro teoricamente, passiamo alla storia, alla teologia ed all’ecclesiologia.

La prima vicarietà di Cristo di cui si è parlato, nell’ambito della stessa comunità gesuana dopo gli eventi pasquali, è quella dello Spirito Santo. È il contenuto della promessa di “un altro Consolatore” (Gv 14, 16), che Gesù fa agli Apostoli prima di avviarsi al supplizio della croce. Egli li avrebbe accompagnati quando Gesù non sarebbe più stato in mezzo a loro.

La promessa fatta agli Apostoli, però, rende in qualche modo essi stessi vicari e lo stesso fa con i vescovi loro successori. Quella dei vescovi come “vicari di Cristo” è una dottrina attestata già da un padre apostolico come Ignazio d’Antiochia (a cavallo tra I e II secolo) e che verrà poi ribadita anche da Tertulliano (III secolo).

Il primo riferimento conosciuto alla speciale vicarietà del vescovo di Roma è più tardo, datando la fine del V secolo (Papa Gelasio I). Ma fin da subito – e forse più opportunamente – il titolo di “vicario di Cristo” risulta concorrente con quello di vicario di Pietro o della Sede Apostolica. Riferita alla successione episcopale nella sede romana, l’espressione sarebbe stata forse più comprensibile nel significato pastorale cui accennavamo inizialmente. L’unico significato legittimo, peraltro, nel senso di non indugiante ad insensate forme idolatriche della persona del Papa.

Tuttavia, le vicende storico-politiche, con la progressiva assimilazione del Papato ai Principati, conducono all’affermazione della formula “vicario di Cristo”. Non a caso, la definitiva acquisizione del titolo al vescovo di Roma risale a Papa Innocenzo III (XIII secolo), campione medievale della plenitudo potestatis papale a scapito imperiale.

Francesco e la dottrina dei vicari

Veniamo a Papa Francesco e alla sua decisione di mettere il titolo di “vicario di Cristo” fra quelli storici. Sembra ragionevole pensare che il Papa non sia avversario del Papato. D’altra parte, egli non ha mai nascosto di voler fornire di quest’ultimo un’interpretazione evolutiva, conforme allo spirito dei tempi. E ha detto esplicitamente che secondo lui quest’interpretazione passa per una valorizzazione della missione del Pontefice come vescovo di Roma.

Questo perché la valorizzazione del ministero episcopale del Papa è un’indiretta valorizzazione di quello dei singoli vescovi. E questa valorizzazione è uno dei tratti più significativi dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II. La contraddizione fra quest’orientamento e il titolo di “vicario di Cristo” è, come visto, più apparente che reale giacché il significato genuino di quest’ultimo è pastorale.

Se poi qualcuno dovesse pensare che Papa Francesco dubiti del fondamento divino e della necessità del primato papale, questa rimarrebbe un’illazione fino a prova contraria. Certo a suffragarla non basta lo spostamento dei titoli da una pagina all’altra dell’Annuario.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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