Caso Scurati-Rai: non si può fare altro che abbozzare. A incassare non sono obbligati solo maggioranza, Governo, presidente del Consiglio; siamo obbligati tutti noi italiani. C’è un pezzo di Italia che è tornato a vivere, politicamente parlando, in funzione del fascismo. Siccome quest’ultimo è caduto storicamente nel 1943 e socio-culturalmente non può essere schiodato dal suo secolo, quello scorso e più precisamente dalla sua prima metà (cioè quella più lontana da noi), ecco che i nostalgici dell’antifascismo, per dare un senso alla loro impossibile battaglia, devono vedere in continuazione il fascismo qui e ora.
Costoro non faticano a vedere alle porte squadristi, olio di ricino, orbace, “me ne frego”, libro e moschetto, Ovra, Minculpop e altri armamentari del Ventennio. Infatti, vogliono vederli dove non ci sono – perché ovviamente non possono esserci, né qualcuno vorrebbe farli tornare – per delegittimare il loro avversario politico del momento. In Italia, in pubblico l’avversario è il nemico, benché in privato sovente sia più di un semplice conoscente. Entriamo nella settimana del 25 aprile, a meno di due mesi da una tornata elettorale nazionale (anche se la chiamiamo europea): la vicenda Rai-Scurati risulta così già spiegata.
Il monologo sospeso
I fatti sono semplici da riassumere. Antonio Scurati, scrittore e campione dell’antifascismo di ritorno, era stato invitato dalla giornalista di Rai3 Serena Bortone nella sua trasmissione Che sarà, dove avrebbe dovuto leggere un suo monologo sul 25 aprile. Il testo è centrato inizialmente sulla figura di Giacomo Matteotti, il deputato socialista martire dello Stato di diritto e della democrazia, di cui ricorre quest’anno il centenario dell’omicidio per mano di sicari fascisti. Com’è noto, dell’odioso delitto si assunse personalmente e pubblicamente la responsabilità il Duce in persona, nel celebre discorso alla Camera dei deputati tenuto da Benito Mussolini il 3 gennaio 1925.
La seconda parte del monologo è un frontale attacco a Giorgia Meloni e al suo partito (“gli eredi di quella storia”, “il gruppo dirigente post-fascista”). L’accusa all’inquilina di palazzo Chigi è quella di provare a riscrivere la storia, ripudiando espressamente, del fascismo, solo le leggi razziali del 1938 e ignorando le corresponsabilità della Repubblica Sociale Italiana nelle nefande azioni naziste durante l’occupazione tedesca. Meloni, tacendo sul resto, non vorrebbe prendere le distanze dal fascismo nel suo insieme.
In più, evitando di pronunciare e attribuirsi la parola «antifascismo», la leader di Fratelli d’Italia negherebbe implicitamente il valore storico-politico, civile e nazionale della Resistenza. Così, conclude “la predica” di Scurati, se e fino a quando la presidente del Consiglio non si proclamerà antifascista, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.
L’ovvio è tutt’altro che scontato
Cosa sarebbe successo in Rai? La cosa più ovvia, in un mondo dominato dalla sola razionalità: si sarebbe esclusa la partecipazione di Scurati alla trasmissione di Bortone, nei termini inizialmente prospettati. Che sull’emittenza di Stato (questa è la Rai) un rotocalco ospiti un monologo – manifestazione per definizione senza contraddittorio – in cui si accusa il capo del Governo e la sua formazione politica di essere in sostanziale continuità con la dittatura nazionale del secolo scorso e i suoi delitti, è una cosa incredibile più ancora che stravagante.
Si tratta di un’autentica provocazione che però, infischiandosene appunto del buon senso, oltreché del buongusto, non si poteva gestire saggiamente in altro modo che subendola. Perché? Perché la nostra è un’epoca in cui la razionalità e il rispetto sono sempre più estesamente negletti. Ne abbiamo prove più schiaccianti di quella costituita dalla televisione di Stato che lascia dare della delinquente politica alla presidente del Consiglio.
L’esistenza dello Stato a partire dai confini, la formalità della scuola, il monopolio legale dell’uso della forza in capo all’autorità di pubblica sicurezza: tutto ciò che è ovvio viene direttamente ribaltato. Per cui, cosa volete che sia mettere giù da spunto di dibattito l’accusa – ripetiamo, senza contraddittorio – al capo del Governo di essere contro lo Stato di diritto, oltreché contro lo Stato democratico?
Da Bortone a Meloni
Bortone, che pare sodale di Scurati nella resistenza senza dittatura, ha comunque letto in trasmissione il testo del monologo sospeso. La presidente Meloni, con il consueto savoir-faire, ha anticipato la giornalista, pubblicando sui suoi social “la predica” incriminata. E dicendo che chi, come lei, sarebbe stata fino a due anni fa vittima di ostracismo da parte del servizio pubblico radio-televisivo non domanda la censura di nessuno, nemmeno di chi pretende di mettere a carico del canone Rai la propaganda contro il Governo.
La leader di Fratelli d’Italia, prima di invitare tutti alla lettura di Scurati per farsi direttamente un’idea, ha alluso anche alla querelle interna alla Rai, cioè alla questione se sia trattato di censura (“scelta editoriale”) o di una questione di compensi (“1.800 euro per un minuto”). Non ci viene risparmiata nemmeno la questione del cachet dell’uomo dei paralleli spericolati tra XX e XXI secolo. Se volete la nostra, non solo la questione del compenso, ma anche la storia della censura o scelta editoriale sono entrambe fumo. La teoria del trappolone, o meglio della sceneggiata, è quella che ci sembra cogliere meglio nel segno: il 25 aprile come giudizio (senza misericordia?) di Dio incombe.
Rai, è ora di cambiare tutto?
Chiudiamo sulla Rai. L’azienda di Stato ha un sacco di problemi: gli sprechi, la perdita di originalità (un tempo produceva tutto, adesso acquista quasi solo format); non parliamo dello smarrimento del decoro peculiare del servizio pubblico. Non è che, per una volta in cui dovesse aver fatto una cosa normale, come escludere l’opportunità di fare accusare dai suoi schermi (e senza replica) il Governo del Paese di una bazzecola quale essere profondamente estraneo al diritto e alla democrazia, la dobbiamo crocifiggere. Il caso singolo si poteva certo gestire meglio, ma non più di tanto poi, perché non si sarebbe evitato comunque il ridicolo.
Semmai, conviene interrogarsi su quanto a lungo possa durare ancora la pantomima della Rai di tutti i partiti. Assurda per principio e dunque radicalmente, questa bizzarra teoria non sta più in piedi nemmeno in pratica. Fintantoché venisse praticata, comunque, il male minore resterebbe abbozzare. Sta al legislatore e al Governo smettere di praticarla.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.