Mandato d’arresto della Corte penale internazionale a carico di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, attuale primo ministro ed ex ministro della Difesa d’Israele, per la guerra in corso a Gaza: la diplomazia e le relazioni internazionali s’incendiano a causa di una scintilla tutto sommato prevedibile. Le conseguenze pratiche di questa mossa saranno nulle. Lo Stato Ebraico, come altri pezzi da 90 dello scacchiere internazionale (Stati Uniti in testa, in compagnia di potenze nucleari come Russia, Cina, India e Pakistan), non riconosce la giurisdizione della Corte. Gli Usa, poi, hanno immediatamente annunciato l’adozione di sanzioni contro il tribunale dell’Aja e minacceranno gli Stati non alleati nelle forme più opportune, onde dissuaderli da qualsiasi ipotetica velleità di provare a dare corso al mandato in questione. In più, il procedimento internazionale è tuttora nella fase istruttoria o d’indagine, sicché la richiesta d’arresto nei confronti delle autorità israeliane riveste carattere preventivo.
Questa vicenda, comunque, solleva il velo su due questioni meritevoli secondo noi di attenzione. In generale, l’imprudenza della Comunità internazionale e la sua illusione in merito alle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità. In particolare, lo spettacolo offerto dalla nostra classe dirigente nazionale, degno di piazzisti all’opera sul ruspante mercato di Campo de’ Fiori.
Stati e Organizzazioni internazionali
La Comunità internazionale ha due soggetti: gli Stati e le Organizzazioni internazionali. I primi sono da sempre i protagonisti delle relazioni internazionali. Le seconde sono emerse nel secolo scorso, dopo le due Guerre mondiali: prima la Società delle Nazioni con sede a Ginevra e poi l’Onu a New York. La disparità tra Stati ed Organizzazioni si nota, considerando anche soltanto come i primi siano i soci delle seconde, mentre ovviamente non vale l’inverso.
La Comunità internazionale è altrimenti denominata, in termini giuridici, «società paritaria» proprio per il fatto che i suoi attori principali, appunto gli Stati, si considerano come eguali tra loro e non riconoscono, in linea di principio, alcuna autorità superiore alla propria. Quindi, qualsiasi Organizzazione internazionale dispone nei confronti degli Stati della sola potestà che essi le hanno liberamente riconosciuto, attraverso corrispondenti limitazioni della propria sovranità. Limitazioni, queste ultime, che gli Stati mantengono sempre la possibilità di revocare, denunciando i trattati con i quali dovessero averle concesse.
La giustizia penale internazionale
Dobbiamo altresì precisare che la Corte penale internazionale (Cpi), che statuisce in ordine alla responsabilità per crimini di guerra e contro l’umanità, non è un organo dell’Onu, benché il Consiglio di sicurezza di quest’ultima possa conferirle la competenza a giudicare casi sui quali la sua giurisdizione altrimenti difetterebbe. La Cpi è un organismo a sé stante istituito, pur sempre sotto impulso delle Nazioni unite, dallo Statuto di Roma del 1998. Questo trattato internazionale è stato firmato nella capitale italiana, è entrato in vigore nel 2002 (nel momento della 60ª ratifica da parte degli Stati sottoscrittori, tra cui il nostro Paese) ed è stato modificato nel 2010.
La Cpi vanta precedenti illustri. Celebri tribunali internazionali sono stati quello di Norimberga, che ha giudicato i capi responsabili del Nazismo e della Wehrmacht al termine della Seconda guerra mondiale e quello per la ex Jugoslavia, che ha comminato ergastoli ed altre pene ad esponenti di spicco della Serbia e della fazione serbo-bosniaca della lotta fratricida nei Balcani degli Anni 90 dell’altro secolo.
Mandato d’arresto e antisemitismo
In questi giorni, si fa un gran parlare del mandato di cattura per i due leader israeliani a suon di luoghi comuni e qualche falsità. Chi ne afferma il fondamento finge di non vedere come lo stigma di colpevolezza affibbiato anticipatamente ai responsabili dello Stato d’Israele dovrebbe servire a provare il rigore e l’imparzialità con cui la Cpi adempie il suo mandato. Per contro, chi destituisce di ogni fondamento il provvedimento dell’Aja evoca l’antisemitismo, la caccia all’ebreo e soprattutto contesta l’asserita parificazione tra Israele e Hamas, perché la Cpi ha reso noto che avrebbe voluto sottoporre a fermo anche i capi armati palestinesi di Gaza (se solo Israele non li avesse già uccisi).
Bisogna ammettere che la Cpi, ad iniziativa della quale è stato spiccato un mandato d’arresto anche a carico di Vladimir Putin per la sottrazione di minori ucraini portati in Russia, è effettivamente insufficiente da sola – cioè, senza l’assenso e la cooperazione degli Stati che contano – a fare rispettare il proprio statuto sia dall’Occidente, sia dall’Oriente. C’è una parità di trattamento, che consiste nell’impotenza di una giurisdizione poggiante su basi strettamente volontarie. È chiaro, comunque, che (al netto dell’inapplicabilità di fatto) il mandato di arresto cautelare per Netanyahu e Gallant, con gli ostaggi ancora trattenuti e l’occupazione tuttora in corso, vorrebbe essere uno strumento di pressione diplomatica sul governo di Tel Aviv. Si tratta, però, di un’arma scarica.
D’altra parte, tacciare di antisemitismo qualsiasi contestazione a carico degli israeliani è una tendenza che ormai stanca. Non è prima di tutto una questione giuridica, ma fattuale e umana la sproporzione tra il pur orribile insieme di atti antisemiti e in odio agli israeliani del 7 ottobre 2023 e la devastazione di Gaza da parte delle Forze armate israeliane (Idf), con alcune decine di migliaia di vittime civili. Anche perché c’è ormai diffusa consapevolezza che l’attuale leadership dello Stato Ebraico, quella di Bibi Netanyahu, è la stessa che aveva investito un capitale non solo politico nella separazione tra Cisgiordania e Gaza, per delegittimare la già poco autorevole Autorità nazionale palestinese e la corrispondente causa territoriale. Quanto, poi, alla presunta parificazione tra Israele e Hamas, essa non esiste, né la Cpi avrebbe potuto farla in quanto priva di senso: è chiaro che Israele è uno Stato e Hamas un gruppo di resistenti armati che ricorre normalmente ad azioni di stampo terroristico. La democraticità interna di Israele non c’entra niente, all’Aja si discute di diritto internazionale umanitario e del confine tra prevenzione, repressione e vendetta.
Il silenzio meglio di…
Veniamo, per finire, ai piazzisti di casa nostra. Lo diciamo con rammarico e quasi con dolore perché, pur consapevoli che la classe politica è sempre anche lo specchio del popolo che la esprime, ci ostiniamo a credere che il nostro Paese possa essere e sia almeno un po’ diverso. I toni sfumati della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del ministro degli Esteri Antonio Tajani sulla questione posta dal tribunale dell’Aja sono un balsamo leggero e tardivo.
Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio dei ministri italiano, che invita Netanyahu in Italia, baratta un istante di auto-promozione pubblicitaria con la credibilità del Paese. L’Italia, benché abbia ratificato lo Statuto di Roma, non arresterebbe né Netanyahu, né Putin perché temerebbe giustamente le conseguenze di un atto di guerra e, comunque, eccezionalmente ostile. L’esagerazione di Salvini fa il paio con l’ipocrisia di quanti hanno già fatto e stanno rinnovando il panegirico della giustizia penale internazionale, fingendo di ignorarne la completa inefficacia pratica e l’incerta cornice di principio. Quando, per le più diverse ragioni, non si può o non conviene parlare, bisogna tacere, anche per non togliere agli interlocutori qualsiasi dubbio circa la propria credibilità.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.