Economia

Jobs Act: come cambia dopo la sentenza della Corte costituzionale

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Jobs Act: la Corte costituzionale va all’attacco di una delle normative più significative e contrastate della stagione governativa di Matteo Renzi. Il 26 settembre, la Consulta ha dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n. 23/2015. Si tratta della disciplina del risarcimento in caso di licenziamento economico illegittimo, nell’ambito del contratto a tutele crescenti. Il comunicato della Corte parla di contrarietà ai principi di ragionevolezza e uguaglianza, nonché al diritto e alla tutela del lavoro.

Tutta acqua al mulino dei 5 Stelle, si dirà. Infatti, il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio si è subito affrettato a vantare l’idem sentire fra questa decisione e il Decreto-dignità, varato dal governo nel luglio scorso. Vediamo allora come cambia il Jobs Act a seguito dell’intervento dei giudici di piazza del Quirinale e quali commenti ha generato. Va da sé, infatti, che politici, sindacalisti e giuslavoristi si siano sentiti chiamati in causa da questa sentenza. Della quale, però, occorre ancora attendere le motivazioni.

Jobs Act e risarcimenti

Sul punto della quantificazione del risarcimento dovuto in caso di licenziamento economico illegittimo, il Jobs Act prevede un doppio automatismo. Anzitutto, l’indennità da corrispondere dal datore al lavoratore a tempo indeterminato deve rispettare i limiti minimi e massimi previsti dalla legge. Si trattava originariamente di una somma pari a 4 e 24 mensilità, col principio di 2 mensilità per ogni anno di servizio. Il Decreto-dignità di luglio (n.83/2018) ha innalzato i limiti rispettivamente a 6 e 36 mensilità.

La legge Renzi prevedeva poi un altro automatismo, relativo all’anzianità di servizio del lavoratore. Più il lavoratore aveva un’anzianità di servizio elevata, più il giudice era tenuto a portare verso il massimo la misura dell’indennità a lui dovuta dal datore di lavoro. La Consulta ha bocciato proprio questa determinazione in modo rigido dell’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato per motivi economici. In pratica, ora il giudice del lavoro potrà assegnare 36 mensilità risarcitorie anche al dipendente con pochi anni anni di permanenza nel posto di lavoro.

Jobs Act: bocciato o no?

Le conseguenze della sentenza, ribadito che di quest’ultima non sono state ancora pubblicate le motivazioni, non vengono valutate in modo univoco.
C’è chi interpreta la decisione come una bocciatura a tutto tondo del Jobs Act e della logica a esso sottesa. All’opposto, c’è chi ipotizza che l’impatto della sentenza sarà piuttosto limitato, sulla base però di una considerazione contraria a quelle poste dalla Consulta a fondamento della propria decisione.

Il giuslavorista Piero Ichino, considerato uno degli ispiratori del Jobs Act (all’epoca era anche parlamentare del Pd) ritiene che, nonostante la sentenza della Consulta, la prassi della giurisprudenza non cambierà granché. Egli sostiene infatti che sia logico corrispondere di più a quanti da più tempo ricoprivano il posto di lavoro. A motivo, evidentemente, della maggior difficoltà di costoro a trovare un nuovo impiego, magari riqualificandosi professionalmente. Per Ichino, è la nuova occupazione a tempo indeterminato a rischiare di venire maggiormente penalizzata. Infatti, la possibilità di dover rifondere un numero elevato di mensilità anche ai neo-assunti disincentiverà gli imprenditori dal sottoscrivere i nuovi contratti a tutele crescenti.

I rischi dello “strapotere” giudiziario

Su un punto, comunque, le opinioni sono unanimi. La discrezionalità giudiziale nello stabilire la misura dei risarcimenti, compressa dalla normativa voluta da Renzi, comincia a espandersi di nuovo. E l’imprevedibilità degli esiti del contenzioso laburistico, come di quello civile in generale, è uno dei fattori scoraggianti degli investimenti nel nostro Paese. È vero che I datori di lavoro sono già stati avvantaggiati dalla riduzione dei casi di tutela reale, cioè di reintegro del lavoratore. Ma sembra difficile giustificare lo scivolamento di simili bilanciamenti d’interesse dalla discrezionalità politica a quella giudiziaria.

D’altra parte, chi conosce il funzionamento del nostro sistema di giustizia costituzionale non è colto di sorpresa. Infatti, sono proprio i giudici ordinari a dedurre (d’ufficio ovvero su istanza di parte) la presunta incostituzionalità delle norme, rimettendo il giudizio alla Corte costituzionale. A riprova, in questo caso, basti considerare come il Tribunale di Roma avesse prospettato anche l’illegittimità del limite massimo di legge alla misura dei risarcimenti. Domandando per sé una discrezionalità praticamente illimitata. Questo rilievo, però, è parso eccessivo anche alla Consulta, che l’ha respinto.
Per sapere se o quanto resisterà ancora il Jobs Act, appuntamento allora alla prossima puntata di una delle telenovele nazionali più seguite: la lite per avvocati e per tribunali.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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