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Papa Francesco e il “giallo” del Padre Nostro

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Papa Francesco e il Padre Nostro: nuova puntata. In tutti i sensi. Ricordate l’omonimo programma di don Marco Pozza, in onda ogni mercoledì fino a Natale, su Tv2000? Nel corso della puntata trasmessa il 6 dicembre, il Pontefice ha affrontato una questione dibattuta da tempo in Italia.

Il Padre Nostro, com’è noto, si conclude con l’invocazione: “E non indurci in tentazione, ma liberaci dal male”. Ora, Francesco non si è sottratto alla domanda del cappellano del carcere di Padova, sul significato di quest’espressione. Dicendo che quella tuttora corrente in italiano non è una buona traduzione. E additando come migliore, ad esempio, quella scelta dai vescovi di Francia. Che, tradotta, suona così: “E non lasciarci entrare in tentazione…”. E allora, vediamo di chiarire i diversi aspetti della questione.

Neo-vulgata, Lezionario e Messale

Quando diciamo traduzione italiana, francese, o in qualsiasi altra lingua, a quale termine di paragone ci riferiamo? Bisogna saperlo, altrimenti non avrebbe senso parlare di traduzione. Per l’uso liturgico, la versione di riferimento della Sacra Scrittura è la Neo-vulgata. Cioè, l’ultima revisione della Vulgata di san Girolamo, obbligatoria per la liturgia cattolica dal Concilio di Trento. La Neo-vulgata, incoraggiata dal Concilio Vaticano II, è stata promulgata da san Giovanni Paolo II nel 1979. Le Conferenze Episcopali Nazionali, predisponendo i loro Lezionari, devono partire da essa per tradurre. Il Lezionario è l’insieme delle letture bibliche proclamate nelle Messe.

Il Padre Nostro, l’autentica preghiera cristiana, è raccontato nel Vangelo. Più precisamente, nei vangeli di Matteo (6, 9-13) e di Luca (11, 1-4), con piccole varianti. Esso, però, in quanto preghiera da recitare nell’ambito della liturgia eucaristica, è prescritto anche dal Messale Romano. Quest’ultimo è l’insieme dei riti, delle preghiere e delle formule, occorrenti al prete per celebrare la Messa. Anche questo va tradotto nelle diverse lingue dal latino, a cura degli Episcopati. Quello che recitiamo a Messa prima della comunione, insomma, è il Padre Nostro del Messale.

Traduzione della Cei e resistenze della Curia Romana

Il Lezionario italiano traduce il Padre Nostro in un modo, nella parte relativa alla tentazione dell’uomo. Il Messale italiano, invece, in un altro. Il primo adotta la versione della Bibbia Cei del 2008: “E non abbandonarci alla tentazione…”. Il secondo ricalca ancora letteralmente il latino del Messale Romano, l’arcinoto: “E non indurci in tentazione…”.

Perché questa sfasatura? Perché, mentre il Lezionario è già stato rivisto, il Messale a cura della Cei è ancora fermo in Vaticano. Dal 2012, quando i vescovi italiani hanno trasmesso la loro versione della terza edizione del Messale Romano. Il necessario “nulla osta” viene fatto ancora penare dalla competente Congregazione per il Culto Divino.

Vi dice niente, il nome di quest’ufficio? Sì, è proprio il dicastero presieduto dal cardinale Robert Sarah. Che col Papa ha avuto meno di due mesi fa un singolare confronto, reso di dominio pubblico. Il contrasto verteva proprio sulle versioni dal latino dei testi liturgici e biblici ad uso liturgico. Evidentemente, la questione è all’ordine del giorno, specie nel caso del nostro Paese. Peraltro, l’intervista del Papa con don Pozza è registrata, per cui forse ci sarà stata contestualità tra le due vicende.

Con quest’esplicita presa di posizione, Papa Francesco potrebbe aver superato lo stallo relativo al Messale italiano. Stallo che, comunque, non sembra dovuto solo al Padre Nostro, ma anche al “per voi e per tutti” della Consacrazione.

La Chiesa crede come prega e prega come crede

In conclusione: il 2018 potrebbe essere l’anno del cambiamento, per i cattolici italiani, della più antica e cara preghiera cristiana. Certo, colpisce i portatori di una certa sensibilità che proprio la preghiera insegnata da Gesù subisca col tempo delle modifiche. Ma, una volta fatta la scelta – difficilmente criticabile – della resa della Liturgia nelle diverse lingue, anche questo passo è inevitabile. Perché la lingua, come la mentalità che esprime, cambia.

Nondimeno, non dobbiamo pensare che quella delle traduzioni sia una questione solo per specialisti di esegesi, ermeneutica e teologia. “Lex orandi lex credendi”, diceva san Prospero d’Aquitania. Cioè: le cose da pregare sono le cose da credere. Ecco perché il confronto è così serrato, quando si parla dell’atteggiamento di Dio di fronte al peccato dell’uomo. Per Papa Francesco, “indurre in tentazione” non si addice al Padre di Gesù e nostro.

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Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.

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