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Chiappa (Legambiente): dalla crisi energetica alla brutta aria di Piacenza, ecco la mia ricetta

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Laura Chiappa, presidente del circolo piacentino di Legambiente “Emilio Politi” sembra una donna fragile. Ma è un vero mastino e lo ha dimostrato in decine di manifestazioni, di raccolte di firme, nella sua attività di volontariato. La tentazione è quella di sfidarla, di provocarla, ma, lo annuncio subito, non ci siamo riusciti. Non le abbiamo tolto il suo smagliante e smaliziato sorriso neppure di fronte alle aperte provocazioni, come quella della prima domanda della nostra intervista.

Presidente Chiappa, possiamo dire che questa guerra Russia-Ucraina può essere vista anche come un’opportunità? Nel senso che, una volta condannata l’invasione di Putin, l’esagerato aumento dei prezzi di gas e petrolio ci spingerà verso le fonti rinnovabili?
“Quello che sta accadendo in queste ore in Ucraina è motivo di vera angoscia. E al di là delle motivazioni geopolitiche che hanno portato allo scatenarsi di questa inaccettabile guerra, le vicende di queste ore stanno facendo venire al pettine quei nodi della politica energetica italiana ed europea, basata sui massicci investimenti sul gas fossile, che come Legambiente da anni andiamo denunciando. Certamente i recenti aumenti possono e devono ridare vigore a tutto il settore delle rinnovabili”.

Quindi, se non ora quando…
“Proprio così. Ma lo sa che dipendiamo dall’estero per il 96% del nostro fabbisogno di gas? Noi ne produciamo solo il 4% circa, e se anche volessimo raddoppiarlo con ulteriori trivellazioni arriveremmo a circa l’8-9% all’anno. Abbiamo capito che dipendere dal gas russo per il 40% è una follia? Bisogna anche pensare che il 26% del gas che arriva dalla Russia passa dall’Ucraina. La guerra sta evidenziando la nostra dipendenza. In più la Cina sta comprando gas russo attraverso il gasdotto Power of Siberia, in uso dal 2019. La Cina ha e avrà sempre più bisogno di gas, tanto che Gazprom, la società russa degli idrocarburi, ha firmato in questi giorni il progetto del gasdotto Soyuz Vostok. Attraverso la Mongolia, porterà 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno alla Cina. E il nostro circolo vizioso si chiude con il blocco del gasdotto Nord Stream 2, voluto dalla Germania a causa  della guerra ucraina”.

Ma noi abbiamo anche il gas del Tap (Trans Adriatic Pipeline). Da dove arriva?
“Dall’Azerbaigian, attraverso la Georgia: due Stati caucasici che non sono propriamente paradisi della democrazia. La Georgia, tra l’altro, è da anni in contrasto con la Russia. E anche da quella parte potremmo trovarci delle sorprese”.

E se usassimo il nostro gas dell’Adriatico? È stato giusto fermare le trivelle?
“Dobbiamo capire che le fonti fossili vanno abbandonate. Certo non immediatamente, ma nel tempo è l’unica scelta possibile. Noi abbiamo in Adriatico giacimenti per circa 90 miliardi di metri cubi di metano. Nel 2021 l’Italia ne ha consumati 76 miliardi. Dunque, anche se continuiamo ad importare gas dalla Russia, dall’Algeria e dall’Azerbaigian, le nostre scorte in Italia si esaurirebbero in quattro e cinque anni. In più non è vero che il ‘gas italiano’ costa meno degli altri. I prezzi sono stabiliti a livello europeo. Lo pagheremmo come quello russo di oggi. E in più dovremmo spendere parecchio per aumentare le trivellazioni. Con un altro problema non da poco”.

Quale sarebbe?
“Il bradisismo o subsidenza. Estraendo gas dall’Adriatico, esiste il rischio di un abbassamento delle aree intorno ai giacimenti trivellati, con l’erosione delle aree costiere, delle spiagge, e questo lungo tutta la costa adriatica, compreso il delta del Po, con l’ingresso del cuneo salino nel fiume. Nei momenti di piena del Po il problema potrebbe anche essere minimo; ma oggi le acque salate dell’Adriatico, con la secca del fiume, risalgono il delta anche fino a 30 chilometri verso l’interno, con le conseguenze che si possono immaginare sulle coltivazioni agricole. Senza elencare altri problemi che sarebbe meglio evitare, vogliamo aggravare questa situazione?”.

È ovvio che non possiamo abbandonare gas e petrolio dall’oggi al domani. E ci sembra che il governo Draghi stia virando verso le rinnovabili. Proprio in questi giorni sembra abbia deciso di ridurre la burocrazia per l’installazione dei pannelli solari.
“Vero, si parla di semplificazione e certamente è necessario una regolamentazione meno burocratica. Ma se soltanto facessero partire i progetti sulla carta già approvati sarebbe un successo. Vede, occorre parlare di un mix integrato di rinnovabili ed efficienza energetica per uscire dal fossile; non è che i pannelli solari da soli possono risolvere tutto. Occorre coniugare pannelli fotovoltaici, solare termico, agrivoltaico, eolico, biometano e biogas, efficienza energetica nelle case e nelle industrie, pompe di calore e incentivare le comunità  energetiche”.

Calma, presidente Chiappa, deve spiegarli uno per uno…
“I pannelli fotovoltaici sono ormai alla portata di tutti e godono anche di detrazioni fiscali. Occorre solo trovare imprese serie che ti dicano prima cosa potranno rendere. I famosi costi/benefici. Questi pannelli sono installabili con qualche migliaio di euro su qualunque tetto che abbia la giusta esposizione”.

In Italia produciamo pannelli?
“Neanche uno. Prevalentemente sono cinesi o vengono dalla Germania”.

Ma avremmo ovviamente la tecnologia per produrli, no?
“Certo! Basta che il governo decida di spendere anche una minima parte dei fondi del Pnrr dedicati alla transizione ecologica per l’innovazione agevolando la filiera industriale delle rinnovabili, pannelli compresi”. 

E creare corsi per installatori e tecnici termici?
“Quelli ci sono già e sono molto bravi”.

A che punto siamo oggi con le rinnovabili?
“Oggi abbiamo 1,1 milioni di impianti da fonti rinnovabili, che sono in grado di soddisfare il 37,6% dei consumi elettrici italiani e il 19% dei consumi energetici complessivi. Al 2030 potremmo traguardare il 72% della produzione energetica previsto dal Piano per la transizione energetica. Per farlo, però, il governo dovrà mettere in atto un sistema di incentivazione più accessibile e appetibile per i cittadini e le imprese rispetto a quello del superbonus”.

Dicono che i pannelli durano circa 20 anni e che poi ci sono problemi per lo smaltimento.
“C’erano. Ora sono in via di risoluzione, anche perché la maggior parte dei componenti dei pannelli sono riciclabili: vetro, alluminio, silicio”.

E il problema degli accumulatori? Perché sa bene anche lei che i pannelli lavorano bene d’estate e quando c’è il sole, ma d’inverno e durante la notte dobbiamo tornare all’Enel.
“È una delle sfide che ci aspettano. Oggi ci sono già buoni accumulatori, ma costano dai 5 ai 10mila euro. Più si diffonderà il fotovoltaico e meno costeranno, anche perché per ora si usano accumulatori al litio, ma si sta studiando di farli al sodio”.

Cioè col sale?
“In pratica sì, col sale che è cloruro di sodio. Costi molto più bassi e meno problemi di reperimento”.

Parlava anche di solare termico. Che cos’è?
“Semplicissimi pannelli che permettono di ricavare dal sole energia per produrre acqua calda per usi domestici. È uno dei sistemi più semplici da installare sui nostri tetti. Vanno combinati con altre rinnovabili”.

E l’agrivoltaico?
“Nasce dalla combinazione di agricoltura e pannelli solari. Son pannelli solari posizionati sui campi ad una altezza tale da permetterne la coltivazione”.

Come quello che verrà installato sui terreni dell’Opera Pia Alberoni a Cadeo?
“Il progetto presentato non è agrivoltaico a mio parere. I pannelli sono talmente bassi che risulta impossibile la coltivazione, una assurdità consumare suolo agricolo, considerata l’enorme quantità di tetti di capannoni disponibili in provincia”.

A Cadeo la decisione è definitiva?
“È in fase di autorizzazione, ma c’è ancora spazio per fare qualcosa, vedremo”.

Parliamo del biogas…
“È prodotto dalla decomposizione di materiali organici ed è strettamente collegato all’attività agricola, ma non solo: serve a dare elettricità e calore oltre al digestato. Si utilizzano deiezioni animali, residui di lavorazione dell’industria alimentare, biomasse residuali anche da mais trinciato. Dal biogas deriva il  biometano, che sostituisce quello prodotto da fonti fossili. Certo che se per fare biogas si devono sacrificare colture dedicate come il mais  cadono un po’ le braccia. Ci sono bravi agricoltori che hanno ottimi impianti aziendali, ma è ancora poco diffuso”.

E le cooperative energetiche cosa sono?
“Più esattamente si chiamano comunità energetiche, che possono essere organizzate anche in cooperative. Si tratta di un’associazione tra cittadini, attività commerciali, autorità locali o imprese che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di impianti per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. In parte da casa propria, in parte anche affittando, per esempio, tetti di capannoni. Si uniscono le forze, e si divide poi l’energia ricavata. È un’altra attività del nostro futuro energetico, già in corso. Il governo dovrebbe creare un fondo di garanzia per consentire a un numero maggiore di soggetti di accedere ai finanziamenti per creare le comunità energetiche. Solo dalle comunità energetiche si potrebbe arrivare al 17,3 Gw di nuove capacità rinnovabili”.

Draghi intanto ha parlato di riaprire le centrali a carbone.
“Sì: sono poche, 7 in tutto. Due centrali non hanno mai smesso di funzionare. A parte l’inquinamento che producono, dove prendiamo il carbone? Andrà importato anche questo… lei pensa che ce lo faranno pagare di meno? È senza dubbio una soluzione temporanea per il governo, per non restare a piedi, ma pensare oggi al carbone è semplicemente antistorico. E mi fermo qui”.

L’eolico può funzionare? E dove?
“Nel nord Europa è posizionato abbastanza vicino alle coste, molto ventose, offshore; da noi in mare, ovunque ci sia abbastanza vento, con le nuove tecnologie anche flottanti. Certo è un sistema costoso, ma i vantaggi ci sono, eccome. E in più l’eolico prevede la creazione di molti nuovi posti di lavoro. Vede? Non c’è una sola soluzione, né una ricetta magica…”.

Quindi?
“È solo nella sinergia di tutte le rinnovabili, assieme all’idroelettrico, già molto presente in Italia e sempre fonte rinnovabile, che si può trovare la soluzione”.

Faremo in tempo? La crisi morde e molte imprese già adesso non ce la fanno più con i rincari di gas e altri carburanti.
“Se ci muoviamo subito sì. Abbiamo bisogno di due, massimo tre anni, spendendo bene i soldi del Pnrr, coibentando col 110% i nostri immobili, purtroppo solo fino a giugno 2022… Riducendo così i consumi. Secondo me, se c’è la volontà politica, ci si può arrivare”.

Chi rema contro?
“In Italia soprattutto l’Eni, che vive sulle fonti fossili. Ma essendo un ente a partecipazione statale dovrà anche lei cambiare. Invece l’Enel sembra ben orientata verso il green. Ma ci sono ormai altri gestori sensibili alla produzione con le rinnovabili. Speriamo che continui così”.

Rigassificatori: come la pensa?
“Ci sono. Forse ne abbiamo pochi ma ci sono. Non ne penso né bene né male. Servono perché importiamo per mare anche gas liquefatto che, una volta sbarcato, deve tornare al suo stato gassoso. Ma non mi sembra una grande idea quella di importare gas liquefatto dagli Usa”.

Perché?
“Adesso gli Stati Uniti ne hanno in abbondanza. Ma domani potrebbero anche loro alzare il prezzo o decidere semplicemente di non fornirne più. Oggi gli Usa sono energicamente autonomi, ma domani non lo sappiamo. Preferirei che l’Italia diventasse autosufficiente dal punto di vista energetico attraverso il mix delle  fonti rinnovabili e efficienza energetica”. 

L’Unione europea ha dichiarato il nucleare una fonte verde: esiste un nuovo tipo di nucleare “buono”?
“No: la tecnologia nucleare è ancora ferma alla fissione, com’era la centrale di Caorso. Il nucleare è pericoloso, non ha risolto il problema delle scorie, ma soprattutto è molto costoso. L’Ue è stata costretta ad inserirlo dalla Francia che ha decine di centrali nucleari che oggi vanno tutte rinnovate. Siccome il costo per lo Stato sarebbe stato enorme, Macron è riuscito a farlo ricadere sull’Europa, tutto qui”.

E della situazione di Piacenza cosa mi dice?
“Vuole parlare dell’aria? È una delle peggiori d’Italia“.

Tutta colpa del traffico del centro città?
“Certamente no, anche se potrebbe fortemente diminuire. La colpa è equamente distribuita tra traffico cittadino, riscaldamento civile e logistica. Ma ci rendiamo conto che siamo la capitale della logistica italiana e non abbiamo uno straccio di intermodalità? A Le Mose solo circa il 30% delle merci viene trasferita con la ferrovia; mentre a Castel San Giovanni, Pontenure, Fiorenzuola e Caorso, zero. Deve arrivare la ferrovia. Siamo intasati solo dal trasporto su gomma. Le sembra possibile?”.

Il prossimo sindaco cosa dovrebbe fare?
“Guardi, ho lavorato a Parma, dove ci sono 8 parcheggi scambiatori. Lasci l’auto e prendi la navetta che in un quarto d’ora ti porta in centro. A Parma ci sono anche 42 stazioni di bike sharing contro le 4 di Piacenza. Credo sia facile partire da lì”.

E oltre al miglioramento della qualità dell’aria? Che cosa vorrebbe dal nuovo sindaco la presidente di Legambiente?
“Facciamo il conto delle scuole di Piacenza e di tutta la provincia. Aggiungiamo gli altri edifici che dipendono dal Comune, dai suoi uffici alle palestre… Efficientamento delle strutture col 110%. Quando vogliamo partire? Il Comune si lamenta di spendere troppo per l’energia. Quanti pannelli fotovoltaici ha installato sui suoi edifici? Cosa aspettiamo? Non sarebbe già questo un ottimo programma per la nuova amministrazione?”.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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