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Putin: lo Zar e la sindrome di James Bond

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Putin: “La strada a Leningrado, cinquant’anni fa, mi ha insegnato una lezione: se la rissa è inevitabile, colpisci per primo”. Un lapidario aforisma che accompagna da sempre il presidente russo. E chissà quante volte ancora applicherà questa lezione dal Cremlino, visto che alle elezioni di oggi si dà per scontato un nuovo plebiscito a suo favore, anche se ha preso le distanze dal suo partito Russia Unita e si presenta alle presidenziali come indipendente. 

Putin e il caso Skripal

Ma prima di andare a Mosca diamo un passo a Londra. È “assolutamente probabile” che l’ordine di usare l’agente nervino contro l’ex spia russa Sergei Skripal e sua figlia Yulia in territorio britannico, sia partito direttamente da Putin. Parola del ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson. “Noi crediamo che sia probabile in modo schiacciante che sia stata sua la decisione di usare un agente nervino nelle strade della Gran Bretagna, dell’Europa, per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale”. Uno scenario da guerra fredda, che rievoca Jan Fleming e 007. Con una crisi diplomatica mai vista negli ultimi anni. Ma Putin non fa una piega. Theresa May espelle 23 diplomatici russi? Lui fa altrettanto. 

Dal Kgb al Cremlino

Nato nel 1952 a San Pietroburgo, dopo la laurea in diritto internazionale Vladimir Vladimirovič Putin viene assunto dal Kgb. Nei servizi segreti sovietici percorre tutto il cursus honorum fino al rango di tenente colonnello. Dato che conosce bene il tedesco, viene inviato a Berlino e nel 1989 assiste alla caduta del muro. Tornato nella Russia di Gorbaciov, si dimette dal Kgb. E inizia una nuova carriera nel municipio di San Pietroburgo, diventando capo del comitato per le relazioni esterne della città. In quella sede diventa amico di Aleksej Borisovič Miller, oggi a capo di Gazprom.

Nel 1999 si trasferisce a Mosca, dove diventa deputato e viene indicato da Boris Eltsin come primo ministro. Nello stesso anno Eltsin si dimette da presidente e Putin lo sostituisce ad interim. Pochi mesi dopo vince le elezioni e nel 2000 diventa presidente della Federazione Russa. Le rivince nel 2004 e terminato il suo secondo mandato, è costretto a lasciare il passo come previsto dalla Costituzione. Riesce però a far eleggere il suo fedelissimo Dmitrij Medvedev, del quale diventa primo ministro. Poi, alle elezioni del 2012, viene rieletto presidente.

Le ragioni del successo

Di Putin si può dire e si è detta qualunque cosa, ma i voti che prende sono autentici. A livello popolare è portato sugli scudi. Principalmente perché, contrariamente a Gorbaciov ed Eltsin, ha restituito ai Russi l’orgoglio di essere una superpotenza. In più si stanno gustando quel po’ di capitalismo che Putin e gli oligarchi concedono, e almeno non ci sono più le file per il pane. Non si può immaginare che la Russia acceda in pochi decenni ad un tenore di vita occidentale. Ma sotto Putin il Prodotto interno lordo è triplicato. E nel 2016 i 144 milioni di russi avevano un Pil procapite di oltre 8.700 dollari. 

Sovranista e me ne vanto

Se possiamo dire che Putin è il campione mondiale del sovranismo (inseguito da Trump), possiamo anche sostenere tranquillamente che il suo concetto di politica estera è quantomeno non allineato ai parametri internazionali. Ha annesso la Crimea, sottraendola all’Ucraina e sopportando le sanzioni. Minaccia spesso di invasione i Paesi baltici ex sovietici (Lettonia, Estonia, Lituania), costringendo la Nato a rafforzare la sua presenza ai confini russi. In gara con Trump ha rilanciato la corsa agli armamenti. Appoggia il regime di Assad in Siria per  aumentare la sua influenza in Medio Oriente. E più o meno velatamente sostiene Kim Jong-un in Corea del Nord per tenere sotto pressione Cina e Stati Uniti.

Non ci sembra poi di poter definire Putin un campione della democrazia. Anzi, ha una vera e propria idiosincrasia per qualunque oppositore. Con storie quantomeno poco edificanti da cui con sdegno si è sempre chiamato fuori. Dall’omicidio in patria della giornalista Anna Politkovskaya alla morte per avvelenamento a Londra dell’ex spia e dissidente Aleksandr Litvinenko, amici ed entrambi morti nel 2006. Del caso Skripal abbiamo già detto. E come dimenticare il Russiagate che mette sempre a rischio la presidenza Trump? Ancora: non vogliamo parlare di Alexei Navalny? Il suo acerrimo avversario è stato escluso dalla competizione elettorale con un pretesto giuridico. Una condanna penale che Navalny sostiene di aver ricevuto ad hoc per impedirgli di partecipare alla corsa presidenziale.  

Putin e la lezione di Xi

Insomma, a Putin piace “vincere facile”. E quasi certamente, dopo 18 anni di regno autocratico, ce lo ritroveremo almeno per i prossimi 6 al timone della Grande Madre Russia. Un po’ come il suo rivale Xi Jinping in Cina, che però ha appena ricevuto il mandato presidenziale a vita. Un’investitura “imperiale” che di certo Putin gli invidia parecchio. E allora, parafrasando James Bond, anche per lo Zar, “Mai dire mai”.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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