Cultura

Pacificazione ieri e oggi: quando Mussolini voleva governare con la Cgil

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L'assedio alla sede della Cgil del 9 ottobre a Roma; a destra, dall'alto, Benito Mussolini e Bruno Buozzi

Pacificazione: questa parola è tornata di moda dopo l’assalto dei dimostranti di Forza Nuova alla sede romana della Cgil e in vista della manifestazione nazionale a sostegno del sindacato di domani. Gli atti di violenza del 9 ottobre hanno imposto all’opinione pubblica il dilemma su quale sia la matrice politica che ha mosso i contestatori. Alla luce della Storia c’è poco da dire: sono molti i casi in cui lo squadrismo fascista giusto cent’anni fa, dal 1920 al 1922, è stato protagonista di assalti alle sedi della Cgl (la Cgil di allora), di sindacati bianchi, camere del lavoro, sedi del Partito socialista. E al di là dei principi ai quali oggi si ispirano gli accoliti di Forza Nuova – principi assai confusi e privi di ogni consapevolezza – è pertanto pertinente definire l’ignobile azione dello scorso sabato un’azione di squadrismo fascista.

Come pensare allora a una pacificazione nel clima odierno? È sempre la Storia a correre in nostro aiuto cambiando prospettiva. Se con fascismo si intende anche la strategia politica che nasce dal pensiero e dalla volontà di Benito Mussolini, dalla sua visione e dal suo progetto politico iniziale, le cose stanno infatti diversamente. E forse al riguardo, anche per incentivare una riflessione che rassereni gli animi, vale la pena fare un po’ di chiarezza, come ho cercato di proporre nel mio libro “Tentativi di pacificazione tra fascisti e antifascisti”.

L’occupazione delle fabbriche nel 1920

Partiamo dal primo incontro rilevante che Mussolini ha con Bruno Buozzi, nelle rispettive vesti di capo del movimento fascista e di segretario generale della Fiom, datato 10 settembre 1920. In quei giorni gli operai metallurgici, di fronte alla decisione degli industriali di proclamare la serrata, si mobilitano per occupare gli stabilimenti di Milano e di tutta Italia. In questo contesto Mussolini incontra Buozzi, vero organizzatore della grande mobilitazione. Nell’occasione il capo fascista assicura al segretario generale della Fiom che se la lotta metallurgica fosse rimasta sul terreno sindacale, i fascisti non l’avrebbero in nessun modo “avversata perché a noi poco importa che gli industriali siano sostituiti dagli operai”.

Lo stesso giorno Mussolini pubblica un articolo su Il popolo d’Italia dove scrive: “Non si può pretendere oggi, dopo tutto quello che è avvenuto, che gli operai abbandonino le fabbriche senza garanzie. Non può bastare una promessa di trattare; bisogna anche promettere di concedere e fissare un minimum delle concessioni. Se gli operai avranno queste garanzie, usciranno dalle fabbriche nell’attesa – che deve essere possibilmente breve – di riprendere regolarmente il lavoro”. 

L’occupazione delle fabbriche non porta a nessuno sbocco rivoluzionario; soprattutto per l’incapacità del Partito Socialista di prendere qualsiasi iniziativa, delegando ogni decisione al sindacato che però è privo di forza politica. Le fabbriche vengono sgomberate e riconsegnate al controllo degli industriali. E Mussolini loda il presidente del Consiglio Giolitti per non aver stroncato il movimento con la forza. 

I patti di pacificazione

I rapporti del capo fascista con la Cgl proseguono, benché nei mesi successivi il peso degli intransigenti aumenti all’interno del movimento di Mussolini. Gli intransigenti non vedono di buon occhio l’accordo con la Cgl e con i socialisti che il capo fascista vuole perseguire. Ma Mussolini è deciso a continuare sulla strada di un ricongiungimento con i suoi ex compagni di partito, partendo proprio da un accordo con i sindacalisti confederali e con quei socialisti disposti a seguirlo.

Il 3 agosto 1921 di fronte al Presidente della Camera De Nicola viene firmato il patto di pacificazione fra fascisti da una parte e Cgl e socialisti dall’altra. L’accordo si propone anzitutto di chiudere la tremenda guerra civile (come ormai gli storici sono concordi nel considerare il fratricidio in Italia tra il 1919 e il 1922), che ogni giorno miete vittime di una parte e dell’altra.

Il patto di pacificazione ha anche un importante valore strategico. Questo accordo infatti è una chiara indicazione di come Mussolini vuole indirizzare la sua politica verso sinistra. Infine, vi sono importanti ragioni tattiche: Mussolini in un colpo solo avrebbe dato scacco al trasformismo giolittiano e messo all’angolo i fascisti intransigenti. 

Un partito laburista

L’obbiettivo politico di Mussolini è quello di creare un partito laburista nazionale, che oggi potremmo anche chiamare un partito di centrosinistra. E per questo lavora appena insediatosi al governo, cercando di collegarsi con la Cgl e con quei socialisti che avessero capito e condiviso questa strategia. Mussolini propone così a uno dei capi della Cgl, Gino Baldesi, il ministero del Lavoro. E vuole far entrare nella compagine governativa anche Buozzi, oltre a un esponente del Partito Socialista. Ma tra il 29 e il 30 ottobre 1922, appena trapela questa notizia, i fascisti intransigenti e i nazionalisti alzano gli scudi. Il capo fascista non può indebolirsi ulteriormente e quindi deve desistere. 

Il tentativo del 1924

Renzo De Felice ci spiegherà come questa strategia – vera antesignana del compromesso storico – Mussolini la perseguirà fino al delitto Matteotti, avvenimento che rappresenta la pietra tombale dell’operazione. E che non a caso sarà compiuto materialmente da un gruppo di squadristi intransigenti che vuole impedire al presidente del Consiglio di governare con i socialisti. 

Mussolini all’epoca ha già dato vita a un Esecutivo di larghe intese che va dalla destra al centrosinistra. In questo Governo, oltre a ministri e sottosegretari fascisti ci sono ministri e sottosegretari popolari, democratici, democratico-sociali, liberali, nazionalisti. 

Tuttavia Mussolini insiste per portare al Governo anche la sinistra socialista e i sindacalisti della Cgl. Se i fascisti intransigenti e i nazionalisti non avessero accettato, avrebbe fatto a meno di loro. E stavolta è nelle condizioni di affrontare questa svolta. La lista dei ministri che ha pronta nel 1924 comprende ancora importanti personalità del socialismo italiano (da D’Aragona a Caldara, a Casalini) e della Cgl (da Baldesi a Buozzi, a Rigola). Ma la storia, a causa del delitto Matteotti, purtroppo ha preso un altro corso.

È una lezione, quella che arriva dai fatti di cento anni fa, che merita di essere meditata, per costruire un futuro dove la parola pacificazione tra destra e sinistra possa finalmente ritrovare un significato vero. E questo, anche oggi, nell’interesse dell’intero Paese.  

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Ferdinando Bergamaschi è un imprenditore piacentino del settore agricolo. Ha un percorso di studi classici, ama la scrittura e gli studi storici. Ha scritto e pubblicato due libri di carattere storico. Ha tenuto alcune conferenze: la presentazione del libro “Cattolici fra europeismo e populismo”, di cui è autore della postfazione, presso la Camera dei Deputati nel 2019; due conferenze tenute a Verona sul tema “sovranismo-globalismo”; una conferenza su Aleksandr Solzenicyn presso la sede dei Liberali di Piacenza.

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