Piacenza è in mezzo al guado nella lotta al Covid. Il nuovo Decreto del presidente del Consiglio dei ministri per contrastare la seconda ondata dell’epidemia è condizione necessaria ma non sufficiente per vincere la battaglia. Cosa fare? Partiamo da un aneddoto che riguarda da vicino uno di noi due. Tanti anni fa, quando nonna Annamaria e zia Bice venivano a trovare la famiglia, settimanalmente lasciavano sempre una mancetta. Ricordando questo frangente, abbiamo trovato un parallelo con le visite a Piacenza dei politici a proposito del finanziamento del nuovo ospedale. Venti milioni ieri, dieci milioni oggi, e così via ad ogni nuovo passaggio.
Non si ha ancora un progetto finale del nuovo ospedale, ma arrivano dieci milioni per l’efficienza energetica futura. A che cosa servono? Ma di questo ha bisogno la sanità a Piacenza? No. Il sistema sanitario ha bisogno soprattutto di organizzazione ed altri contenuti.
Elenchiamo allora brevemente i problemi. Problemi che permarranno anche con l’ultimo Dpcm del presidente Giuseppe Conte. Come dice il professor Andrea Crisanti, “senza sapere come si muove il virus, un lockdown ora è utile solo a bloccare la situazione; ma poi ne sarà necessario un terzo, un quarto… Quello che serve sono le informazioni e i tracciamenti, altrimenti continueremo a navigare in un mare in tempesta senza approdare mai da nessuna parte”.
Divieti omogenei
Primo punto: Piacenza non è un isola. I confini con la Lombardia esistono. Se la Regione Lombardia impone ulteriori limitazioni rispetto al Dpcm, Piacenza non può rimanere indifferente. Se i supermercati e i gros market chiudono in Lombardia per più ore, non possono rimanere aperti a Piacenza. Perché? Si aumenterebbe la mobilità. E la mobilità è la variabile da minimizzare se si vuole ridurre il contagio.
Questo significa che i presidenti di Regione (e i sindaci interessati) devono comunicare tra di loro; e in caso contrario il Governo, inclusi i prefetti, intervenire. Come? Attraverso un sistema omogeneo di divieti. I divieti dovranno tener conto delle situazioni locali. Per questo motivo è opportuno che siano gli Enti locali a proporre aperture e chiusure anche delle scuole superiori.
Arruolare esperti
Secondo punto: occorre un notevole sforzo organizzativo per concretizzare le parole dell’assessore alle Politiche per la salute della Regione Emilia-Romagna, Raffaele Donini: “È fondamentale il ‘contact tracing’, ovvero tracciare e monitorare i contatti tra le persone per individuare e spegnere sul nascere eventuali nuovi focolai facendo diagnosi tempestive, iniziando immediatamente”.
L’esperienza della Cina che ha operato un intenso contact tracing, è alla base del successo nel contenimento del Covid, ottenuto attraverso il vecchio metodo dei questionari. Non è né banale né facile ma deve essere iniziato in tempo, perché non è immediato. È utile ricordare che la capacità di testare in Italia, rispetto, ad esempio alla Corea, si è espansa solo dopo migliaia di morti.
Il tracciamento a Piacenza deve essere studiato. Se necessario chiedere a statistici, epidemiologi, e altri, se non sono stati ancora “arruolati”, di aiutare l’Ausl. Sempre Crisanti sintetizza : un “vero piano di sorveglianza che preveda tracciamenti mirati per interrompere le catene di trasmissione, strumenti informatici efficaci e rafforzamento della capacità di diagnosi”.
Il peso dei tamponi
Terzo punto: non ci stancheremo mai di dirlo, il numero dei tamponi è importante. Fare test, cioè tamponi è fondamentale non solo ai fini di diagnosi. È cruciale per scoprire gli asintomatici e dunque per prevenire i contagi. L’uso dei tamponi effettuati su campioni opportunamente selezionati serve sia per limitare il numero di decessi, sia per evitare il sovraffollamento degli ospedali.
Il 9 settembre 2020 il direttore generale dell’Ausl, l’ingegner Luca Baldino dichiarava: “Il servizio tamponi, calcolato sulla base dei picchi influenzali, sarà triplicato, fino a raggiungere 4mila al giorno, grazie all’arrivo di nuovi macchinari nei prossimi giorni”. Anche stavolta, come nei mesi passati, i tamponi effettivamente eseguiti sono stati in quantità ben inferiore a quella annunciata. Nella settimana 12-18 ottobre circa 8.100, ben lontani quindi dai 4mila al giorno. I tamponi promessi troppe volte devono essere effettivamente eseguiti. Se non ci sono le macchine, i reagenti, e soprattutto il personale è opportuno cambiare veramente tecnologia seguendo quanto già fatto in Regione Veneto.
E alla luce dell’esperienza di Piacenza si comprende bene il senso della proposta del professor Crisanti. Circa tre mesi or sono, ha elaborato un piano straordinario di sorveglianza attiva che fa perno su due pilastri: un effettivo e massiccio aumento della capacità giornaliera di analizzare tamponi; e una distribuzione omogenea sul territorio con una capillare diffusione dei tamponi anche avvalendosi di laboratori mobili. Il massiccio investimento in attrezzature, logistica, e personale e una presenza omogenea in tutte le regioni permetterebbe la realizzazione di un piano omogeneo per tutto il Paese con superamento delle barriere regionali. E beneficio per gli utenti finali.
Dai medici di famiglia alle Usca
Quarto punto: i medici di medicina generale e le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) devono essere sostenuti e potenziati. Anche attraverso integrazioni dell’ipotesi di Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale che entrerà in vigore dalla data di assunzione del relativo provvedimento da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le Regioni. E qui vi è spazio per il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Deve essere prevista la possibilità dei medici di famiglia di fare i tamponi, ad esempio consorziando gruppi di medici con gli ospedali, al fine di ridurre i tempi di attesa che sono in questo momento un collo di bottiglia.
Come afferma il dottor Carlo Nicora, direttore generale della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, “la gestione della cronicità necessita dei medici di medicina generale e questi devono essere parte integrante del sistema territoriale attraverso le aziende. Occorre un cambio di passo in buona parte degli ospedalieri. C’è molta inappropriatezza e lavorarci permetterebbe di ridurre le liste d’attesa”.
Tempo di pace e tempo di Covid
Insomma, si tratta in primo luogo di organizzazione. Non è detto che una Persona in tempo di pace sia efficiente ed efficace in tempo di Covid. Se guardiamo alla Chiesa cattolica locale si sono succeduti tre Vicari generali; le squadre di calcio cambiano spesso gli allenatori e non in tutte le partite scendono in campo gli stessi giocatori. La Regione Emilia Romagna, e le altre Regioni, hanno Persone in grado di far fronte alla pandemia?
Tutti ci sentiremmo meglio protetti se fosse fin da ora composta una task force, con un ben definito e credibile responsabile, che tenga anche i rapporti istituzionali, e assicuri maggiore trasparenza ed informazione agli abitanti di Piacenza.