Firenze si dedica a uno dei periodi più discussi della sua storia. E lo fa con l’evento dal titolo “Il Cinquecento a Firenze. Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna”. La mostra sarà aperta nei prestigiosi saloni di palazzo Strozzi dal 21 settembre al 21 gennaio 2018. Protagoniste oltre 70 opere di 41 artisti che vanno da Michelangelo a Bronzino, da Giorgio Vasari a Rosso Fiorentino. Senza dimenticare Pontormo, Santi di Tito, Giambologna e l’Ammannati. L’evento è l’ultimo atto della trilogia partita col Bronzino nel 2010 e seguita dalla mostra su Pontormo e Rosso Fiorentino nel 2014. Ed è sempre curato da Carlo Falciani e Antonio Natali.
Manierismo sotto la lente
Il periodo preso in esame è senza dubbio interessante: è chiamato forse impropriamente manierismo. Si tratta di un termine usato in senso deteriore. Ed indica quegli artisti che, dimentichi dell’imitazione della natura o di modelli presi “dal vero”, lavoravano “alla maniera” di Michelangelo, Leonardo e Raffaello. Ma senza riuscire a giungere all’eccellenza dei tre fuoriclasse del Rinascimento. Manierismo indica anche un’eccesso di forme e contorsioni (ne è un esempio il Ratto delle Sabine, del Giambologna, presente alla mostra).
In buona compagnia
Ma non dobbiamo spaventarci. Anche i termini gotico, barocco e impressionismo erano intesi in senso deteriore. Gotico veniva usato proprio dal Vasari per intendere una architettura “barbara” o degna dei Goti. Barocco viene dal portoghese. E significa deforme, non perfetto (infatti le perle baroccate sono quelle con imperfezioni, volute, contorsioni). E impressionismo? Viene sì dal titolo del dipinto “Impression, soleil levant” di Monet. Ma per i critici con la puzza sotto il naso era sinonimo di arte che faceva “impressione”, con valenza negativa.
Qualche dubbio sul percorso
Tutto bene allora? A nostro parere forse no. A parte le due deposizioni di Rosso Fiorentino e Pontormo, capolavori indiscutibili messi a confronto, l’unica opera esposta di Michelangelo è infatti il Dio fluviale. Si tratta di un’opera decisamente minore, in legno, argilla, lana e stoppa, appena uscita da un restauro durato tre anni. Finora infatti era conservata nei depositi della casa Buonarroti. Certo, ha la particolarità di essere l’unico modello ancora esistente di Michelangelo, relativo a un’opera che avrebbe forse dovuto far parte della decorazione scultorea delle Cappelle medicee. Tuttavia, sembra appartenere più alla categoria delle curiosità che dei capolavori del maestro di Caprese. E dire che a Firenze, a parte il monumentale David (Galleria dell’Accademia) e la Pietà Bandini (Opera del Duomo), difficilmente trasportabili, si poteva contare su altre opere cinquecentesche del Buonarroti, dal tondo Doni (Uffizi), al tondo Pitti (Bargello).
Firenze: gli anni di Francesco I
I curatori della mostra, tra l’altro, pongono molto l’accento sulla figura del granduca Francesco I de’ Medici, definito dagli stessi “uno dei più geniali rappresentanti del mecenatismo di corte in Europa”. Peccato che Francesco I forse sia ricordato più come alchimista e come sposo di Bianca Capello che come protettore degli artisti. E pensare che alla sua corte vivacchiavano personaggi come il Buontalenti e il Vasari, che proprio in quegli anni pubblicò la sua celebre “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, che darà inizio alla critica d’arte.
Insomma, fiacco il mecenate, probabilmente non clamorosa la mostra di palazzo Strozzi. Ma speriamo vivamente di essere smentiti!
Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.