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Taiwan e Xi Jinping: l’isola che vuole il Dragone cinese sarà la nuova Danzica?

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Il presidente cinese Xi Jinping e lo skyline di Taipei, capitale di Taiwan

Taiwan, il presidente cinese Xi Jinping lo ha detto tanto chiaro che di più non si può: “Taiwan è questione interna, voglio una riunificazione pacifica” e “la riunificazione sarà realizzata. Chi si oppone non farà una bella fine”. Il presidente cinese sicuramente non è il tipo che scherza o che parla a vanvera. Dunque le sue parole di pochi giorni fa, pronunciate a Pechino nella Grande sala del Popolo in occasione delle celebrazioni per i 110 anni dalla Rivoluzione del 1911, vanno viste con molta attenzione. Partendo da una domanda: che cos’è Taiwan?

Cina o altro?

L’isola a poco più di 100 chilometri dalle coste della Cina, ha una storia e uno status del tutto particolari. Per semplificare (ma la storia è molto più complessa) è stata cinese fino al 1949 quando il generale Chiang Kai-shek, comandante delle forze nazionaliste, sconfitto dalle armate comuniste di Mao Tse-Tung (oggi si dice Zedong), si rifugiava a Taiwan portando con sé tutta la flotta e l’aviazione cinese, oltre alle riserve auree e agli inestimabili tesori custoditi fino ad allora a Pechino. Di conseguenza, almeno nei primi tempi, Mao non avendo gli strumenti per contrastare Chiang, aveva preferito lasciar perdere.

Nota in Occidente con il nome di Formosa, l’isola veniva subito presa in carico dagli Usa, che vedevano l’opportunità di avere una base in un luogo strategico. La Repubblica di Cina è stata tra i fondatori dell’Onu, ed è rimasta nel Consiglio di sicurezza fino all’ottobre 1971, quando – anche grazie alla “diplomazia del ping pong” tra Mao e l’allora presidente statunitense Richard Nixon, coadiuvato dal segretario di stato Henry Kissinger – la Cina comunista si prendeva il seggio dei taiwanesi.

23 milioni di Han

Poi solo un pugno di Nazioni (tra cui la Santa Sede ma non l’Italia) hanno riconosciuto il piccolo Stato di 36mila kmq (il 50% in più della Sicilia) che oggi conta 23 milioni di abitanti. E questo anche se la sua effervescenza economica gli ha consentito di avere rapporti con tutti i Paesi che contano. In più, e questo non va dimenticato, Taiwan oggi è la patria dei semiconduttori: sembra ne produca oltre il 92% di tutto il fabbisogno mondiale. E i semiconduttori sono indispensabili per gli smartphone, i computer e le automobili.

L’isola, che continua a dichiararsi Repubblica di Cina, è abitata per il 98% da cinesi dell’etnia Han (il 92% dell’intera popolazione della Cina comunista). Insomma, questi 23 milioni sono strettissimi parenti del miliardo e 400 milioni dei cinesi continentali. E gli Han costituiscono anche l’élite dell’ex Celeste impero.

La tentazione di Xi

Ricchissimi, parenti, vicinissimi, esclusi dalle organizzazioni internazionali. Che cosa potrebbe desiderare di più Xi Jinping per farne un sol boccone? E infatti, dal 1° ottobre, giorno della Festa nazionale cinese fino a tre giorni dopo, ben 156 aerei da combattimento hanno violato lo spazio aereo di Taiwan, con a seguire il minaccioso discorso di Xi. Facendo dichiarare al suo ministro della Difesa, Chiu Kuo-cheng dalla capitale Taipei: ”Nei miei quarant’anni di esperienza militare non mi ero mai trovato in una situazione così pericolosa dal punto di vista militare. Se i cinesi volessero attaccarci ora, sarebbero già in grado di farlo; ma stanno ancora calcolando quanto costerebbe in termini di perdite e risultati sul campo. Però, continuando ad accrescere il loro potenziale, nel 2025 avranno ridotto il costo e le loro perdite al livello più basso possibile”.

Sale la tensione

Così risulta sotto tutta un’altra luce, guardando allo stretto di Formosa, il recente accordo Aukus tra Usa, Regno Unito e Australia che tanto ha fatto imbestialire Macron. Per la prima volta da molti anni, due settimane fa, una fregata di Sua Maestà britannica, la “HMS Richmond“, ha attraversato il braccio di mare che divide Cina e Taiwan, causando una crisi di nervi a Xi Jinping: “Cosa ci fa una nave da guerra inglese in casa nostra?”.

Intanto gli Stati Uniti, notizia di ieri, stanno sbarcando sull’isola contesa fior di addetti militari per addestrare le truppe taiwanesi nel caso di una possibile invasione. E del resto, una legge del Congresso obbliga già gli Stati Uniti a difendere militarmente Taiwan da un eventuale attacco cinese. 

Il piano militare

Taiwan è difesa da eventuali attacchi missilistici cinesi dai famosi Patriot statunitensi. Ma secondo diversi analisti la sicurezza di Taiwan non risulta garantita. I cinesi producono e hanno un gran numero di missili balistici a basso costo che costruiscono in grandi quantità. E in caso di attacco, i Patriot taiwanesi potrebbero non essere sufficienti a contrastarli tutti.

Dall’aria all’acqua: Pechino potrebbe procedere anche al blocco dei porti taiwanesi, vitali per un Paese che non gode dell’autosufficienza alimentare. In altri termini, Taiwan resta un territorio molto vulnerabile a una campagna massiccia cinese anche senza lo sbarco di eventuali forze di occupazione.

Un’altra Danzica?

A questo punto non si può che alzare lo sguardo sulla Storia. Nel 1939 Hitler voleva Danzica, città tedesca circondata da territorio polacco, che il dittatore nazista pretendeva tornasse sotto la sovranità della Germania. Un pretesto, ovvio. Ma anche Taiwan non potrebbe essere un pretesto analogo?

Sappiamo che l’industria cinese soffre per la mancanza di semiconduttori; che l’enorme potenza economica cinese si sta riversando in una corsa agli armamenti senza controllo; in più, l’America di Biden è certamente molto meno potente di quella di Truman e Roosvelt; l’Europa è irrilevante in politica estera e allo stesso tempo molto ben disposta verso la Cina per i reciproci scambi commerciali. Noi ricordiamo l’attentato di Sarajevo come casus belli della prima guerra mondiale, Danzica per la seconda. Sarà Taiwan la miccia della terza? Forse non ci siamo mai stati così vicini.

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Massimo Solari è avvocato cassazionista e scrittore. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia di Piacenza e alcuni romanzi. Ha tenuto conferenze e convegni sulla storia di Piacenza. Ha collaborato con le riviste Panoramamusei, L'Urtiga, e scrive sul quotidiano Italia Oggi.

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